A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


martedì 24 settembre 2013

UN GESTO DI ARRROGANTE FOLLIA



 Marcel Duchamp, 1962 -by Marvin Lazarus photograph taken at the Museum of Modern Art, on the final day of the “The Art of Assemblage” exhibition in 1961. The inscription says: from my prison / for Lazarus the jailer / fondly / Marcel Duchamp, 1962


Dentro questi anni in rete c'è una linea di demarcazione netta, porta una data e un volto: dopo di allora niente è stato più uguale qui per me. Io non mi aspetto niente di particolare dalla blogosfera, purtroppo la rete ha dei limiti enormi, saperli identificare è essenziale ai fini di un corretto uso di essa. Ma non tutto è da scartare ne converrete: comunicare è possibile, crederci spesso è diventata una fede arbitraria ma rinunciarvi significa morire. La frattura che era nettissima nei vecchi blog con la loro scansione a "pezzi", visibilissima da un certo periodo in poi, nel gran corpo di quella sorta di BLOG-LIBRO che ho pubblicato qui e altrove è meno evidente, si stempera in uno spazio ideale e temporale che rende giustizia e MISURA ai miei furori. Sono un uomo, vero, in carne e ossa, ho compreso che su queste pagine posso deporre solo una parte del mio spirito, non è cosa da poco! Il riflesso che già vedo fa parte dello stesso ambito mentale e so bene che non gli si può dare un corpo: il consiglio è comunque valido perchè il rischio di trascendere è sempre presente. Quando leggerai tutto altrove ti sarà più chiaro... penso spesso in queste ore di aver esagerato, di pretendere troppo dai miei interlocutori, centinaia di pagine fitte di righe sono probabilmente un gesto di follia arrogante.
 













lunedì 23 settembre 2013

miliardi di righe



 Henri Cartier-Bresson, The Decisive Moment, American edition, dust jacket designed by Henri Matisse, New York: Simon & Schuster, 1952


Ho scritto miliardi di righe nella mia vita, milioni da quando frequento il web. Mi pongo il problema di cosa esse siano e dove vadano, mi pongo anche un'infinità di questioni che dalla scrittura partono e alla scrittura ritornano. Devo confessare che abbastanza spesso sono soddisfatto di ciò che scrivo ma capisco che il significato vero è troppo spesso relegato alla MIA dimensione intellettuale: nonostante la mia arroganza lo ritengo un difetto. Credo che resterà tale. Ho riempito negli anni la rete di miei blog che adesso dormono "spenti" in qualche angolo, posso risvegliarli quando voglio per scherzo, per noia, per diletto o per curiosità, penso che sia affar mio. Ultimamente ho trovato più utile scrivere all'interno dei commenti e i miei scritti "nuovi" si trovano quasi tutti lì; il blog è una strana creatura molto più duttile di quanto si possa pensare, nel contesto personale, che resta intonso se lo vogliamo, si inserisce quello pubblico, croce e delizia di noi tutti, pietra di paragone culturale ostica e micidiale in certi suoi risvolti. Sarà su quel terreno che si giocherà la vera partita di un blog, nel guardarsi in faccia, migliorare la forma del nostro pensiero e la sua espressività, confrontarla con gli altri, accettarne la diversità e difendere la dignità del NOSTRO sentire. In questo, specificatamente, io mostro spesso la corda e lo scrivo

domenica 22 settembre 2013

FUORI


Dean Goodelle, 1932 -by Edmund Kesting [I am still looking for a good ref. about the american dancer Dean Goodelle… if anybody has a lead…?] 
 [ref.: Edmund Kesting, Ein Maler Sieht Durch’s Objectiv (1958), and Klaus Werner, Edmund Kesting, Ein Maler, fotografiert (1987)]


Dico che sono fuori perchè non pubblico più un post nuovo da mesi, perchè non ne sento la necessità e non ne ho più lo stimolo. Guardo da fuori perchè non mi interessa piacere o dispiacere, oppure seguire la tendenza della maggioranza dei miei interlocutori: così sei fuori dalla blogosfera. Quando leggi e non commenti se non raramente, o leggi e stai zitto anche se il post ti piace perchè non credi più al valore del commento o temi equivoci, discussioni sterili provocate dal tuo atteggiamento senza peli sulla lingua…potrei continuare a lungo , quando ti ritrovi in situazioni di questo tipo significa che sei fuori.

sabato 21 settembre 2013

UNA VECCHIA E ABUSATA STORIA



A collection of images from Kahn & Selesnick’s new series: The Apollo Prophecies. Giornale Nuovo:

Mi piace quando qualcuno mi pone degli interrogativi: in genere sono ragazzi molto più giovani di me; mi fanno sentire “importante” ma cerco di moderarmi.
Faty tu scrivi troppo spesso “sull’onda” ma parlare è una cosa scrivere è un’altra, scrivere attiene alla riflessione e al pensiero perchè RESTA, si sa scripta manent e se quello che manent non è chiaro, proficuo…educativo sono guai per i posteri. La frase “se c’è un certo modo di intendere la vita, e se ci sono determinati non valori di qualcuno sarà anche la responsabilità, no? ” è una critica per me o una valutazione generica sulla mia generazione.? Andrò a leggere il tuo post nella speranza di comprendere meglio. Quanto alla colonna sonora credimi la rock etnofolk generation di oggi la conosco abbastanza bene, ho un figlio di 18 anni che suona, ma resto della mia idea: noi avevamo note veramente rivoluzionarie!
Ma tu mi chiedevi se ci siano soluzioni come se io fossi il GURU del momento e ne avessi qualche decina nelle tasche pronte all’uso! Sono convinto che le soluzioni ci sono ma si trovano sotto l’orizzonte e bisogna navigare. Non sarà certo una generazione di giovani e sciocchi depressi cronici a risolverli, non sarà insomma la brutta copia della MIA generazione che potrà sperare di restare a cavallo del mondo, così. Chi ha la mia età ha fatto, sbagliando più o meno, e adesso se dice di poter fare vi prende solo per il culo perchè usa SEMPRE IL SOLITO SISTEMA e quello non funziona; non vedi che anche se applicato con un abito diverso produce gli identici guasti? C’è violenza nel mondo: ideologica, culturale, sociale, fisica sessuale, ed è presente alla grande anche in quelli che hanno la tua età. E’ inutile che vi nascondiate dietro “l’irruenza giovanile”, dietro non c’è anagraficamente la tua generazione ma una molto più vecchia. Che vi prende per i fondelli e vi usa. L’Africa che sta sommergendo L’Europa è così per una violenza lucida e spietata nei secoli precedenti da parte nostra. si chiama colonialismo. E’ lo stesso sempre identico a quello dell’odierno Sarkosy e della sua elegante e glamour Carlà.
Il Parlamento, “aia per polli e galli ruspanti”, quello di Fini, Berlusconi, Di Pietro et etc… cosa pensi che possa produrre? Riproduce se stesso perchè è fatto per questa riproduzione continua: la politica come mestiere. Se ci entri e non cambi la testa ( è difficilissimo farlo soprattutto se si è in pochi) non cambierà assolutamente nulla. Io leggo il prodotto di queste nuovissime generazioni in rete…è mediocre, Faty, risibile, senza conoscenza ripercorre strade che sono abusate da un secolo e dinfatti il risultato si vede sui blog: uno sfanculamento totale ma almeno ai miei tempi la colonna sonora era migliore. Se permetti Led Zeppelin, Cream, Dylan, Creedence, Jefferson Airplane…Genesis… La soluzione è essere giovani giovane Blogger e usare solo la tua testa pulita, scrivere di quella, confrontarsi alla velocità dei bytes e non chiudersi, non chiedere aiuti pelosi ai vecchi marpioni (come me), ma aprire gli occhi ad un pianeta in cui abiterete voi soli perchè noi per fortuna saremo già trapassati. Se la vostra generazione oltre a usare il Pc saprà usare una testa Moleskine forse si avvierà verso una soluzione decente: così con queste tecniche rivisitate e non corrette è IMPOSSIBILE.

La prima stazione

Non soltanto del cielo dal colore inconsueto e inciso dal profilo delle palme dovrei dire; anche lo spessore dell’aria, gli odori e i rumori vicino ai mercati popolari disegnavano un mondo del tutto nuovo da esplorare. Di fatto, senza rendermene conto, cominciavo a dare al tempo un ritmo e un valore diversi da prima. Chi l’avrebbe mai detto!
Credevo di conoscere quest’isola e quella città fin dalla mia infanzia ma era una conoscenza limitata,da turista , appassionato certo, ma turista con tutte le limitazioni del caso. Adesso potevo fare diversamente: viverci dentro un contesto e scavarlo dal di dentro , le occasioni per farlo mio sarebbero state infinite. Dovevo solo limitare il coinvolgimento ad un passo prima del connubio definitivo, pensai allora, questo per mantenere una lucidità di giudizio degna di un viaggiatore di lusso perchè tale mi ritenevo. Fare l’amore con distacco, in punta di piedi, non coinvolgermi, essere l’esatto contrario di quel che ero e sono! I gelsi neri cominciano a poco a poco a diminuire nel piatto e io sorrido pensando al numero di sciocchezze che si partoriscono da giovani, alla quantità di proclami e posizioni “imprescindibili” assunte attorno ai ventanni. Palermo fu altra cosa e mi bastonò per bene. Catania mi guarda impassibile, forse vuole benevolmente evitare d’uccidere un uomo morto. Comunque e dovunque io sono sempre stato invischiato in cento problemi , legato fino in fondo ai miei errori , alle mie debolezze , alle vittorie effimere colpevolmente scambiate per trionfi dorati.
Questo pensiero mi dà una leggera vertigine: come le scatole cinesi un’idea ne apre subito un’altra e un’altra ancora…Ecco fatto! Sono riuscito a sporcarmi. E’ bastato distrarsi un attimo correndo dietro ai miei pensieri ed una piccola macchia tonda, violacea come un bubbone si è aperta sulla camicia. La sfioro con le dita quasi debba sincerarmi della sua consistenza…e così il gioco è completo perchè le dita sono color inchiostro per aver maneggiato i gelsi. Adesso la camicia sembra la reclame di un film sulla mafia dei primi del ‘900 oppure quella di un horror di serie B. Il succo dei gelsi è quasi indelebile sui tessuti e quindi sì nun sugnu fissa io, dumani nun agghiorna! Incredibile ma vero, faccio a 50 anni gli stessi spropositi di movimento di, quando ne avevo dieci , deve trattarsi certamente di un problema genetico , una specie di malattia motoria dalle cause sconosciute . Nell’intimo sono distratto e goffo, cerco di non darlo a vedere, ma capita spesso e nei momenti meno adatti. La rabbia che mi faccio adesso è certamente esagerata per il motivo che l’ha prodotta eppure mi danno lo stesso dandomi dell’imbecille e giurando a me stesso che sarà l’ultima volta che accade e l’ultima camicia che sacrifico. Di prime e d’ultime volte ce ne sono state troppe nella mia vita: alla fine le une e le altre si sono eliminate a vicenda. E’ rimasto solo quest’uomo che osserva il tramonto dal balcone con la camicia sporca e le mani imbrattate, solo questo.
La colonna sonora non ha niente a che vedere con la pace austera del momento: decine d’automobili starnazzanti stanno facendo del loro meglio per far diventare più nevrotica la città; in certe ore si danno tutte convegno lungo questa strada con i loro omini alla guida e vanno o perlomeno cercano di andare da qualche parte. Io invece da un po’ di tempo mi sono fermato. Pare che alla fine capiti a tutti e senza preavviso. I clacson delle auto sono diventati distanti ma il motivo non è un’insperata buona creanza dei catanesi al volante; la causa vera di questo silenzio ovattato e innaturale è la conseguenza di una lunga rincorsa. Ed io finalmente capisco dove sono giunto stasera e perchè la sensazione del tempo ora ha questo sapore speciale: sono alla prima stazione dell’inventario della mia esistenza. Per qualche tempo il treno si fermerà qui, non so quando ripartirà ma in fondo non mi dispiace. E’ un luogo molto particolare e voglio respirarne l’aria fino in fondo con una calma che non mi è consueta; sento che qui non puoi nasconderti niente. Così ho deciso di sedermi su un’immaginaria panchina e ricordare. Ricordare bene e con attenzione perchè il tempo trascorso è tale e tanto da sfidare le capacità della mia mente a non farsi travolgere dai miraggi e dalle illusioni. Lo smarrimento di prima ritorna, insistente: questa stanza e questa città sono tutt’altra cosa dalla storia che voglio raccontare, sono la valle solitaria e lontana dove lascerò le mie ossa, il cimitero dove finiscono i dinosauri come me orgogliosi fino in fondo della loro inevitabile immanenza. Guardo fuori dal balcone e tremo un poco, solo un po’: questa idea della morte e dell’inevitabile fine fanno a pugni con i colori gloriosi della sera che sta rapidamente calando sulla baia d’Ognina. Mi accorgo improvvisamente che non sopporto più né la casa né i gelsi, che ne ho piene le tasche di tutto e tutti.

venerdì 20 settembre 2013

Fernanda Pivano



Fernanda Pivano con Heminguay, anni 50

«Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perchè ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue» ( F. Pivano)
 Riprendo in mano i vecchi automatismi e mi sembra un secolo: ancora parole, di nuovo segni su queste pagine e stavolta sono per me. Sono per dire che la mia generazione se n’è andata definitivamente ieri. Andata, non morta, ma certamente ha passato la mano quando Nanda Pivano ha cessato di vivere. Tutta la letteratura di quella che Kerouac chiamò la beat generation, tutto lo scrivere nuovo e segreto dei miei sedici anni, tutta la mia anima sull’orlo delle labbra è passata nell’opera di questa donna. Chi potrà mai descrivere il senso di sorpresa e totale identificazione alla prima lettura di Hemingway o di E. Lee Masters, come posso comunicarvi il commosso smarrimento al primo e ormai lontanissimo ascolto del disco di De Andrè ? Nessuna traduzione servirebbe. I sogni in verità non muoiono, si nascondono quando l’aria o l’età diventano pesanti; ma la mia generazione adesso passa la mano, si raccoglie nel parlare tenero e assorto dei suoi ricordi bellissimi e liquidi. Altro non può fare, non deve fare. Ciao Fernanda. “Non ho fatto niente per arrivare a 91 anni, un giorno mi ha detto che li avevo” Ritengo che la medesima cosa stia succedendo a me: la mia età cresce a dismisura e senza ritegno. Lo fa anche contro quel minimo di decenza che il mio aspetto generale vorrebbe far credere: sto per finire e la conclusione è dietro l’angolo beffarda. Sono io che mi fingo e discuto in modo apparentemente tranquillo del mio trascorrere: dico non ho finito e non so nemmeno se è una bugia.

SOTTO I CAPELLI


Più in la non riesco ad andare e comunque non ho nessuna memoria Dei giorni prima del 15 ottobre 1960 non possiedo che ricordi sfilacciati, vaghezze con alcuni lampi fortissimi in mezzo ad una nebbia senza confini. Il fortissimo trauma cranico di quel pomeriggio lontano giocando con i ragazzini in un oratorio del centro, si è portato via tutto o quasi. La mia vita ricomincia il giorno dopo in una corsia d’ospedale: apro gli occhi e sento di avere la testa fasciata e di percepire un ronzio diffuso, il viso di mio padre e mia madre è la terra promessa. Prima viveva un altro Enzo ma se n’è andato giocando in un cortile di Milano: Di quel bambino mi son rimaste alcune cose isolate: la gioia per alcuni palloncini in via Dante a Milano il colore del vecchio mobile nella casa della nonna nell’antico paese siciliano, l’odore penetrante di stallatico del carretto su cui in estate attraversai la Val di Mazara… Il senso di mare una mattina quando scoprii le orme dei gabbiani sulla spiaggia e il sole era già alto. Il rumore del vento dolce dall’Africa fra le colonne doriche.
Quell’Enzo non ha altra memoria di sé. Questo post c’è anche perché quel pomeriggio d’ottobre Don Filippo si caricò sulle braccia un bambino con la testa piena di sangue, lo caricò sopra una seicento e lo portò in ospedale in tempo. Mamma dice però che la notte prima il Signore si spaventò perché mio padre gli disse che poi doveva vedersela con lui se io me ne andavo; sorrido ancora oggi quando ci penso e mi carezzo con la mano la cicatrice che sento, nodosa come una radice, sotto i capelli.

giovedì 19 settembre 2013

POST MERIDIEM FT

Tokoha Matsuda Untitled (Falling Leaves) 

Sono sempre troppo cinico e poco propositivo? Racconto un’ipotesi di realtà che vedo solo io? No, si tratta di realtà nuda e cruda a 150 anni dall’Unità; il cinismo nasce dalla profonda delusione di un’Unità di comodo, esclusivamente letteraria, senza nerbo e senza popolo. Napolitano e gli altri fanno finta di non sapere che questa Unità di cui tanto cianciano ha fatto più ricco il Nord e ridotto il Meridione ad una colonia amministrata prima dai Piemontesi, oggi dai mafiosi o da tangentari ante litteram che fanno solo incetta di denaro. Nel mentre dal palco proclamano che il sud, l’immigrazione clandestina, la solidarietà nazionale(!!!), la crisi economica… sinceramente pare che 150 anni siano passati invano. E Umberto Bossi con il ghigno sempre più obliquo pensa agli affari della Padania. Questo è un paese in cui, fatta eccezione per pochi, la cosa pubblica diviene cosa privata; in cui gli scandali economici hanno come inspiratori governi e uomini politici; in cui la piaga del trasformismo è diventata una creatura perfetta e quindi la destra non ha alcuna remora a divenire sinistra e viceversa. Tutte le sere guardo arrivare la sera e sogno il Gattopardo ma vedo passare solo gli Uzeda. Non c’è nessuno tra le fila del PdL o del Pd o dell’ IDV etc. etc. che somigli anche lontanamente ad un Giolitti e non c’è nessuno che abbia la coscienza storica che quando egli abbandonò il suo incarico di primo ministro non vi fu più nessuno in grado d’arrestare la marea montante del fascismo. Tutte le sere attendo che muti il colore del cielo e le palme si disegnino scure contro il cielo della mia città: se penso a Berlusconi o a Bossi sorrido. In fondo queste strade e l’aria che vi si respira restano quanto di più vicino ci sia al mio sogno; sorrido pensando alle dinamiche storiche e sociali che hanno attraversato questa lunga penisola e non sono poi certo che la mia visione “dal basso” sia scomoda. Attendo altri proclami, altre prese di posizione e penso a Valentina che mi dice cose terribili con un sorriso ammaliante. Non so cosa mi sia successo e non so neanche quando sia successo ma sorrido anche al pensiero degli anonimi e della stupida querelle che essi hanno innescato su questo e altri blog nel corso degli anni Tutte le sere attendo la sera: prima o poi verrà la notte e dunque un altro giorno con un sole chiaro, netto, caldo. Siciliano. “Un caffè, per favore”- Subito dottore.

LA MIA ASSE D'EQUILIBRIO

Ivan Terestchenko’s latest works 

Nella Milano del 1970 io camminavo su un’asse di equilibrio sottilissima: al di qua e al di là non c’era nulla che io amassi veramente, nulla di cui potermi fidare ciecamente, c’ero solo io e la mia asse di equilibrio. Dei miei compagni di strada sta svanendo anche il nome: dalla primavera del 59 ad ora delle loro traettorie è restata solo una scia indistinta Ne scrivo per questo, per fare la differenza. Ma allora e per un po’ di anni ancora io parlavo e basta, scrivere era solo un voto alto in pagella. Mia madre conservava i temi che facevo: li metteva in una cartelletta verde che nascondeva gelosamente. Le chiesi un giorno perchè lo facesse e mi rispose: “ Perchè ciò che si scrive è una persona, è il suo spirito”, poi mi baciò e tanto mi bastò. Per lungo tempo. Fu Tiziana dai capelli rossi a spiegarmi la differenza…e la sua spiegazione mi parve molto diversa da quella di mia madre e mi piacque di più. Oggi so che erano la medesima cosa…

DIFETTI


Alfred Eisenstaedt - A visitor contemplates a sixteenth century fresco - Providence by Giovanni Sogliani - in the refectory of the Dominican Convent of San Marco, Florence, Italy, 1935 From Eisenstaedt: Remembrances

E’ difficile per me spiegare a parole la sensazione che mi accompagna da tantissimi anni, E’ vero soffro di solitudine ma è altrettanto vero che fin dall’adolescenza c’è una parte della mia vita che io non posso che viver da solo. Intellettualmente nella sfera di certe emozioni e di certe riflessioni IO SONO SEMPRE STATO SOLO, ogni volta che ho tentato di uscire dal guscio mi sono sentito a disagio come se fossi forzato in una veste che non mi apparteneva. Ho un brutto difetto, non mi arrendo mai. Nemmeno quando sarebbe la cosa migliore da fare.

mercoledì 18 settembre 2013

Fermo così: citazioni

artisticmoods: Carine Bouvard

Giochiamo quindi e allontaniamo la morte da noi, rimandiamola ad occasioni più serie, a quando non tireremo più voluminosi testi di greco sulla testa dei nostri interlocutori. Mentre scrivevo pensavo al mio vocabolario di greco: un ponderoso Rocci che probabilmente ti avrei tirato dietro di rimando se fossi stato un altro da quel che sono. E mi viene da ridere e dura poco però perchè io in quella soffitta mi ci sono accomodato, i gradini li ho saliti tutti e mi sono accorto che nemmeno così si chiude il cerchio della vita.
Che gli estremi, dopo essersi toccati, rimbalzano via lontano, l’intelligenza non paga, non abbastanza da modificare il tratto col quale tracciamo il cerchio. “La cura delle emozioni sfibrate e logore è solo nei gesti precisi e senza scampo” dicevi tu ma sono sicuro che quei gesti non li fai o almeno non con la dovuta precisione, è un gioco anche quello, una cosa seria. E’ già la seconda volta che ti cito, la situazione sta trascendendo: dovrò preparare un piccolo prezioso libro di massime e citazioni tratte dal tuo testo base? Vado spesso il libreria, è una sensazione orgiastica, ma tra le tanti amanti che sono entrate e uscite dalle loro soffitte nessuna ha la tua “sfibrante” verità ( terza citazione). Fermo così.

Il primo

Design: Timothy Hull

Dipende da molti fattori. 
Certe volte quello che hai dentro è troppo ingombrante e tracima dal tessuto della tua riservatezza anche contro la tua volontà. Altre volte invece la scrittura è un rito operato contro la solitudine del tempo, in altre occasioni ancora si scrive perchè si è convinti di non aver detto abbastanza e abbastanza chiaramente. Io ho utilizzato tutte queste ragioni ma c’è chi sa perfettamente che i miei blog sono ormai solo una testimonianza e che tranne rarissime eccezioni contengono righe già scritte in anni precedenti.

martedì 17 settembre 2013

Sconveniente

Per certi versi credo che la mia possa ritenersi un’idiosincrasia o un blocco mentale. Ma devo sempre tenerne conto. L’atteggiamento dell‘islam nei confronti della cultura generalmente intesa (letteratura – musica – pittura – etcetc) non l’ho mai digerito. Lo stesso dicasi per quello sul mondo femminile.
Non sono mai stato l’uomo che è capace di sorvolare nell’ambito di “più ampie e nobili prospettive”, nelle assemblee e nelle discussioni di una vita non digerisco la propaganda, l’ideologia pelosa e fine a se stessa, le adunate oceaniche e i trend di stagione.
Amo il confronto senza remore e LA RECIPROCITA’. 
Quest’ultima alla fine è diventata un handicap insormontabile per abbracciare in toto le idee che la sinistra in generale porta avanti da 30 anni nel mondo. Non mi è possibile leggere o ascoltare discorsi sul confronto o scontro di civiltà provenire da pulpiti capziosi e scorretti intellettualmente; non posso più ascoltare la negazione di fatti evidenti o della logica più banale. Io NON amo la cultura occidentale che mi ha generato con i paraocchi e so bene quanti roghi si sono accesi nel vecchio continente dal medioevo in poi: io non voglio ritornare a quella stagione dell’umanità, voglio leggere tutto e di tutto, voglio continuare ad ascoltare la musica del vecchio e del nuovo continente, voglio ammirare senza vergogna i maestri del rinascimento italiano, commuovermi davanti ad un Tiziano o un Raffaello o un Caravaggio o davanti ad un cupola del Bernini. Voglio che il frutto dell’intelletto umano generato in questa parte di Europa, che ha prosperato e si è diffuso su questo mondo continui ad illuminarlo e non accetterò mai per convenienza politica o ideologica il mercimonio e la sudditanza nei confronti di altre culture.
Io rispetto non per patito preso ma per analisi e riflessione. La convenienza non ha mai fatto per me sui blog e fuori.

La sintesi come una malattia

Stimolato da un quid in più nella scrittura che incontro divento attentissimo e ruvido, analitico oltre misura e scomodo: spesso trovo indoli più scomode della mia e amen.  La levità come l’ombrosità, la luce e lo scuro non sono difetti in sè, dipende da altre circostanze farle diventare una cosa piuttosto che un altra.
Io rispetto tutto quanto è rispettabile anche se diverso da me, ho trascorso una vita a contatto con “le differenze” da me, il web ne è solo l’ultimo esempio; c’è chi ritiene la rete inadatta  a UN CERTO TIPO DI LUNGAGGINI io no, non obbligatoriamente, non vedo dove sia il problema, ognuno scrive come può e come sa e c’è spazio per tutti. Personalmente non amo il tipo di web- chat che inizia a diventare sempre più presente… Io riesco a concentrarmi e dilatarmi, tu forse no.

SHOAH

Ci sono molte shoah, di alcune non sapremo mai nulla, di altre sapremo qualcosa in ritardo. Come vivo la schizofrenia tra l’abisso di male e di bene del genere umano? Io credo di non bastarmi intellettualmente e questo è il motivo principale per cui le commemorazioni mi stanno strette. Troppo.

Blog

Blue by Derek Jarman

A che serve un blog signori? 
Ognuno scrive quel che sa e può, Io scrivevo per commuovere nel senso latino del termine; cercavo di farlo perchè ero a mia volta smosso nell’animo, scriverne mi liberava, mi libera. Questo era il blog per me. Questo è quel che resta di me, forse di noi, una commozione.

lunedì 16 settembre 2013

Ostacoli

E. Schiele: Danae
Sta diventando sempre più difficile tutto: 
I COMMENTI e le teorie interpretative da cui scaturiscono sono sempre più spesso “fantasiose”. Da parte mia la scelta di defilarmi e usare il mio tempo sul web in altro modo è confermata; le relazioni virtuali che nascono dalle cose che scrivo arrivano a distanze stellari dalle loro premesse! O sono false quest’ultime o c’è qualcosa di intimamente errato nelle loro dinamiche. Meglio lasciar perdere e allontanarsi dal grigio.
Noi come generazione di blogger siamo al novanta per cento dei cafoni virtuali senza speranza e senza cultura, Dirlo, riconoscerlo e darsi da fare per imparare qualcosa è il primo indispensabile passo. La musica, per uno che ha fatto il DJ per 10 anni è un altro modo di scrivere un post.

Una cultura egemone

 Il problema della sinistra è quello di ogni cultura egemone, essa difende se stessa a spada tratta comunque, non può e non è capace di sollevarsi su prospettive più ampie e profonde perchè rischierebbe di dover tirare fuori certi SCHELETRI dal proprio armadio dopo una vita passata a negare di averne mai avuti! Negli ultimi 20 anni la sinistra ha difeso l’islam per crocifiggere Israele, ha difeso ( almeno ha giurato di farlo) il proletariato mediorientale dall’arroganza imperialista americana, che nel farlo facesse passare sotto silenzio tutto il pacchetto che va sotto il nome diritti civile femminili e dignità della donna era ed è un FATTO SECONDARIO e come tale esso deve inchinarsi a ragion di stato particolari che hanno le loro radici in equilbri che sono squisitamente politici e non etici o umani.

Intoccabili...

Io non generalizzo quando vedo la giornalista molto sicura di sè parlare in un collegamento televisivo da Teheran col velo in testa e, due settimane dopo, discutere di rapporto uomo donna nella cattolica Italia su uno sgabello con gonna corta tacco 15, cosce in bella vista e trucco perfetto;
non generalizzo quando non vedo manifestazioni dure davanti alle ambasciate dei paesi islamici dopo una delle tante lapidazioni di piazza dell’adultera di turno da parte delle ragazze dei centri sociali o da parte dell’intellighentia progressista che vive dentro le redazioni del Manifesto, Repubblica o MIcromega.
Non generalizzo quando vedo simpatiche donne rosse, molto più del loro sangue arterioso, discutere ed enfatizzare la bellezza dell’estetica islamica ( magari dimenticandosi di accennare al Sufismo) della cultura mediorientale, quando le sento andare in orgasmo per la delicatezza e l’importanza della donna nella cultura araba.
E’ una vita che vedo e sento queste cose: sul web è praticamente la norma, molte mie interlocutrici donne si sono manifestate a questo modo, molte altre le sento discutere in giro, scrivere sui blog, parlare nei circoli o fra loro e le sento dire a morte lo sciocco e limitato uomo occidentale evviva lo sceicco con dodici concubine che però sa capire le donne e se le scopa come si deve. Che poi, purtroppo è questo quello che conta, finchè conta e dura, dopo vengono i problemi… quelli stessi che c’erano prima ma che erano coperti da un pene in erezione costante e da tanta gentilezza che si esprime nel ” lui sa farmi sentire importante e unica”.  Però la totalità dei problemi drammatici che nascono da quasi tutti i matrimoni misti fra una donna occidentale e un maschio islamico hanno questa incompatibilità alla base. I figli sono miei e li gestisco io, tu diventi di religione musulmana, si fa come dico io e se mi rompi i coglioni prendo i bambini e me li riporto in oriente che lì sanno come si fa! Generalizzo? Io non credo, è più probabile che io dica cose scomode che intacchino certe sicurezze costruite da un sistema di dominio culturale a senso unico; anche le mie sicurezze andarono a farsi benedire alla fine degli anni 60, non sono resuscitate mai più. I rapporti più soddisfacenti li hanno gli uomini “tosti” le simpatiche canaglie, non certo gli intellettuali dubbiosi e fuori dal coro, quelli che pensano prima al senso del loro rapporto con quella donna e dopo alla tecnica giusta per farla godere.
Se tocchi la sinistra sei fottuto? Ma pensi davvero che un uomo come me alla mia età dopo una vita trascorsa nel tentativo di sopravvivere (anche a se stesso) può essere realmente interessato a questo argomento? Il mio blog è l’esempio perfetto di ciò che NON SI DEVE FARE se vuoi stare tranquillo e protetto dal gruppo dominante, tu lo sai bene.

domenica 15 settembre 2013

Adesso è tutto più chiaro

Non ho intenzione di darti torto, non voglio contestare la tua idea di base, voglio dirti solo alcune cose che tu in gran parte conosci. Io mi innervosisco spesso, tu lo intuisci perché hai sangue e arterie simili alle mie e ti adiri come faccio io, adesso forse in modo diverso perché sono accadute alcune cose di spessore diverso e ci hanno insegnato priorità diverse.. Non garantisco nulla vorrei solo che chi legge questo blog possa almeno in parte capire da dove vengono certe mie assenze, da dove traggono la loro linfa certe malinconie crude e inutili. Quando si vuole guardare il profilo del mare della vita e si è continuamente infastiditi dal coglione di turno che si piazza davanti possono saltare i nervi. A me sono saltati. La blogosfera ha in sé anche la sua fine, il germe del suo annullamento, che io lo dica e lo ricordi non credo sia un male in assoluto. Probabilmente non è nemmeno un merito particolare ma solo un modo poco originale di invecchiare. Io non riesco quasi mai a capire qual è l’idea di base di molti blogger. Sono arrivato alla conclusione che spesso noi non abbiamo nessuna idea iniziale e aspettiamo di averne una nel divenire, molti di noi aspettano ancora…ma non lo ammettono. Io scrivo un diario con grandi asimmetrie temporali, lo faccio con passione, con tutta la cultura e la vita che ho ricevuto, lo faccio con onestà ma non posso e non voglio snaturarmi, la mia personalità è il mio blog, senza la mia indole io non sono nulla.

Un treno diretto

 Photo by Danilo Martinis
Questo è diretto, è un treno su cui io ho sempre viaggiato a sbafo, poi arriva il controllore e mi fa scendere senza tante storie; io, che sono un ragazzo educato, obbedisco e ricopio in buon italiano i miei compitini.
Col tempo mi sono accorto che, in fondo, posso giocarci bene con le parole, dipende dall’umore del momento e da quello di chi legge, dipende sempre da troppe cose. Io credo di essere io in qualunque cosa scriva e che infatti si riconosce subito, c’è la firma credimi, una come tante altre.

sabato 14 settembre 2013

Pieralvise

Vision One by Damier 

Ti ricordi di me, Pieralvise? Io non dimentico quella mattina di maggio quando mi accompagnasti dentro il conservatorio G. Verdi di Milano.
Avrei dovuto farti da guida per i tuoi occhi spenti…che sciocchezza, tu vedevi meglio di me ed eri nel tuo regno. Gli spazi erano grandi e severi, riflettevano il senso di un mondo a parte, come se, varcata la soglia, la città fosse sparita, rimasta indietro e sempre più lontana.
Sale, corridoi, grandi porte e un sentore di legno diffuso ovunque; da punti indefiniti giungeva il suono di voci o di strumenti musicali. Io rivedevo i libri in braille di un’ora prima sulla tua scrivania, cercavo di capire come facessi a vedere il mondo attraverso le dita e la pelle…
La musica, quella non era un mistero per me, era una lingua immediata, la traduzione istantanea di un’emozione. Perfetta e per sempre: ma tu camminavi tranquillo volgendo lo sguardo che ti mancava attorno e mi dicevi cose che non avrei mai immaginato.
Poi ti sedesti al piano e abbiamo parlato a lungo senza aprir bocca. Eri pieno di luce, il viso rivolto verso l’alto mentre le mani lunghissime e bianche sfioravano la tastiera.
Sorridevi e la musica… Dio mio, la musica ci attraversò per sempre, bella come non l’ho mai più udita. Ma una volta può riempire un’intera esistenza. Una volta chiude parentesi che sospirano una fine dignitosa, completa il sogno in un attimo breve. E scompare lasciandoti solo la scia della nostra eternità.

Il mio sud

La vera ragione dello scrivere in modo tanto “localistico” di fatti generalizzati nasce dalla arrogante convinzione che dentro quest’isola vi sia, non meno di altri luoghi, la ragione e la forza di un’energia non solo italiana ma europea tout court.
 Non perché ebbero a dirlo persone del calibro di Goethe ma perché la letteratura e l’arte europea, in alcuni snodi fondamentali, sono state siciliane. Il metafisico poi e la particolare fusione di umori generati da una posizione e una storia al centro di un mare come il Mediterraneo sono solo un plusvalore che ciascuno può gestire come vuole; la poesia e l’assoluto che ne discendono non sono certo programmabili, sono, punto e basta. L’ho detto, in privato e lo ripeto qui: per un siciliano è facilissimo isolarsi e volgere lo sguardo alle infinite fascinazioni che può scorgere verso il mare.
Solo una voluta e consapevole idea di Stato comune può mutare questo habitus mentale e spostare il baricentro verso il nord, oltre lo stretto. Fuori dai denti, io ritengo che l’italia del Nord dovrebbe ritenersi onorata di avere compreso nel suo territorio la Sicilia: solo una visione piccola e mediocre, culturalmente micragnosa, può guidare un atteggiamento tanto sdegnoso e superficiale verso la terra su cui sbarcò Giuseppe Garibaldi.

Una parte della mia vita


Devin Leonardi: Manassas Junction, 2009.

E’ difficile per me spiegare a parole la sensazione che mi accompagna da tantissimi anni. E’ vero soffro di solitudine ma è altrettanto vero che fin dall’adolescenza c’è una parte della mia vita che io non posso che viver da solo.
Intellettualmente nella sfera di certe emozioni e di certe riflessioni IO SONO SEMPRE STATO SOLO, ogni volta che ho tentato di uscire dal guscio mi sono sentito a disagio come se fossi forzato in una veste che non mi apparteneva. Ad un certo punto della mia vita ho capito che era inutile produrre tentativi di condivisione, erano sterili e per certi versi controproducenti: ho aperto i blog per provare ad essere diverso e vero, per svelarmi senza finzioni. Non funziona! O almeno funziona solo in parte, poi arrivano come sempre gli equivoci, le risse, le incomprensioni e nel frattempo si perde il tempo prezioso dell’intuizione concettuale, quella che ti fulmina in mezzo secondo e che non riuscirai a comunicare mai a nessuno se non seguendo la stessa via e la medesima intuizione.

venerdì 13 settembre 2013

Iperuranio

Accadono cose strane: nascondere i marchi che la vita o il caso ha impresso sul nostro corpo, celare i nostri sentimenti, mandare in soffitta ( intesa come iperuranio) i nostri sogni e vivere la nostra vita che non è più nostra per evitare che i nuovi cannibali ci divorino. Fuori di noi ma dentro di noi, profondissima, si scrive di un’altra esistenza e di un’altra verità. Quella dove potrei chiamarti con un nome diverso.
Ci stai provando anche tu? Siamo in molti a chiedere, cercare di capire ( dopo quando tutto è finito) cos’è l’amore. Ho la netta sensazione che sai perfettamente di non dire, non dirci tutto! Lo fai spesso: uno spiraglio aperto per un istante su panorami vertiginosi e poi…tac, ti rivesti in uno striptease al contrario eccitante e nervoso. Non fai così per incapacità o impotenza letteraria ma perchè sai di sfiorare il vero mostrandoci il suo simulacro vuoto. Io mi sono innamorato due volte in tutta la vita e non potrò mai dire compiutamente ma solo disquisire con acrobazie intellettuali del mio essere di allora. Posso solo affermare che, innamorato, stavo seduto in cima al mondo…anche se poi rotoli giù quella prospettiva non la dimentichi.

Elitarismo

Tanga Moreau by Mario Sorrenti for Harper’s Bazaar

Sogno ad occhi aperti da sempre, non so bene se sia una virtù o una disgrazia. Lo scollamento non è sempre facile da ricomporre e forse non è nemmeno utile. Il blog mi è servito certamente, prima della sua nascita questo compito era assolto da carta e penna, non aveva interlocutori e appariva solo come un riflesso cangiante di un universo in continuo divenire. Il blog non svolge ESATTAMENTE la stessa funzione: esporsi e comunicare ti cambia dentro, toglie sicurezze ancestrali e regala al loro posto sorprendenti novità esistenziali. E’ qualcosa di intimamente diverso, quando parliamo di diari virtuali dovremmo tenerlo presente. In verità devo arrendermi all’evidenza, il mio sogno di parlare con tutti, di comunicare con tutti, di interagire con quello che era lontano mille miglia dal mio mondo senza subirne colpi pesanti, quel sogno si è ridimensionato qui in rete, nel luogo che concettualmente sembra il più adatto invece a nutrirlo.
Se mi perdo, se muto la mia identità, se mi svendo per qualsiasi motivo lo faccio, a qualsiasi obiettivo io possa tendere, sono certo che non produrrò niente di buono, niente di MIO, niente che abbia senso per me. E’ un vecchio discorso che mi rode l’animo da molto tempo, i blog vanno considerati in modo diverso, con maggiore serietà, forse con una benevolenza più genuina ma non possono prescindere da una genuinità di fondo che li differenzia e li rende palesemente personali. Arriviamo così fisiologicamente al problema ( se problema dobbiamo considerarlo) dell’elitarismo nei blog: più che un rischio è una certezza! Penso che sia purtroppo inevitabile, non esistono parole per tutti ( tranne forse che negli Evangeli) e non esistono blogger per tutte le stagioni. Forzare questo dato di fatto produce solo danni, io ne so qualcosa. Inevitabilmente parliamo e speriamo nella condivisione del mondo intero e altrettanto inevitabilmente dobbiamo poi accorgerci di quante siano in realtà le mani tese. Io resterò qui fin che potrò, perchè mi piace ma starò anche altrove e se il salotto apparirà troppo esclusivo pazienza. In questi anni ho incontrato poche stanze veramente esclusive per qualità e profondità di scrittura, io ne sono lontano, la mia esclusività deve essere legata a qualcos’altro.

Giorni terribili

Man reading by Georges Seurat

Ho detto addio a molte cose negli ultimi 20 anni: scioccamente sono rimasto in attesa di un nuovo che le sostituisse. Vestito a festa, lustrato da capo a piedi, fidando nel mio intuito e nella buona volontà comune.
Sto dando l’addio ad altre cose ancora, il sogno interiore dal quale erano nate lo conservo dentro di me come lo stampo intellettuale che comunque ho vissuto.
Ma L’ADDIO RIMANE, inequivocabile. Sono giorni terribili, passeranno dopo aver schiantato un certo numero di vite; chi resterà potrà dimenticare (è sempre un buon sistema) o imbastire un’illusione più articolata e duratura.
Per me è diverso. Sia qui che altrove perchè l’unica cosa che credevo non mi riguardasse, l’incomunicabilità, invece pascola sul mio terreno da molto tempo. Scrivere su un blog ha le sue stagioni come la vita. Vi sono momenti che nascono e crescono in modo estraneo a quello che mostri di te in pubblico: sono vite diverse e parallele, righe che non hai scritto perchè non sapevi, non immaginavi, non riflettevi. Però sono lì davanti a te e ti osservano, forse ridono di te e attendono il tuo ennesimo tracollo.

giovedì 12 settembre 2013

Un senso di passata grandezza

Ricomincio da Sciascia che è sempre un bel partire e dico della sicilianità ma è un dire a voi per parlare anche di “altre isole” -
"Indubbiamente gli abitanti dell’isola di Sicilia cominciano a comportarsi da siciliani dopo la conquista araba, come d’altra parte fanno gli abitanti della Spagna" Dovremmo quindi pensare che l’acquisizione di una individualità culturale e etnica dipenda dal contatto più o meno violento con altre individualità? Forse sì, io per esempio sto diventando tanto più terrone quanto più il nord mi scassa la minchia con discorsi di un certo tipo. E’ un fatto. A proposito di ciò esiste un qualche maledetto motivo per cui i siciliani invece di implorare un minimo di accettazione dovrebbero sentirsi orgogliosi di essere tali? 
Mah, potrei dire che siamo, masculi e fimmini, i megghiu du munnu… belli, passionali, simpatici, intuitivi, creativi, basta guardare i blog, fra i blogger le ragazze meridionali sono un altro pianeta concedetemelo, in più siamo seri, riflessivi, intellettualmente superiori e naturalmente portati all’introspezione lucida e terribile. Siamo anche galanti, premurosi e naturalmente eleganti, chiunque entra in contatto con noi ne resta ammaliato e infatti non se ne vuole andare più ( storia docet). Non vi ho convinto? Vi state alzando e state uscendo dicendo a gran voce questo è un pirla?
Allora ci provo in modo più paludato e tiro fuori Vittorio Emanuele Orlando, professore di diritto costituzionale e uomo di stato ( 1860-1953) che purtroppo è terrone pure lui. "Come disconoscere che la Palermo di Edrisi e Federigo lo svevo sia stata l’Atene dei secoli XII e XIII e il regno di Ruggero il Grande il più possente, fiorente e civile Stato del mondo di quei tempi? E anche a parte queste affermazioni di primato, in quei secoli non fu forse la Sicilia un nodo centrale in cui si incontrarono, si urtarono, si elisero e si ricomposero le forze dominatrici del tempo: il papato e l’impero, la civiltà cristiana e l’islamitica, lo spirito latino e quello germanico, l’ideale comune e quello di stato?"
Ditemi se non sembra perfettamente calzante a quello che sta avvenenendo in questi mesi, se non è perfettamente attinente al senso profondo dei barconi che arrivano o affondano davanti a Lampedusa. Ditemi, se ne avete il coraggio, che sono cose di altri tempi e che sono solo problemi dei siciliani perchè altrove hanno altro cui pensare. Ma proseguiamo. E’ così che anche il più ignorante dei siciliani, quello che della storia nulla sa, avverte confusamente di essere nato in un luogo che fu, per un certo tempo, il centro del mondo anche senza soli delle Alpi o Giussani da Pontida.
La storia fa giri strani, non ha logiche sempre prevedibili e condiziona incredibilmente più l’ignorante che il professore universitario: arriva addosso all’ignorante con l’aria e i profumi assieme a tutti i vizi e le virtù e egli la respira senza averne la possibilità e la cultura per poterci ragionare sopra….e a volte senza potersene difendere. Si chiama sentimento di una grandezza passata e non dà diritto a nulla ovviamente e altrettanto ovviamente non autorizza nessuno ad assumere arie da sufficienza e a sostenere superiorità che non hanno alcuna cittadinanza e nessuna radice. Semmai il contrario. La storia insegna che l’immutabilità perenne non esiste, tutti noi attraversiamo assieme ad essa epoche che possono incidere più di altre sul nostro popolo. E ciò che sta accadendo ora. Non esiste fatto più fisiologico dell’attaccamento alla propria terra: non per un malinteso senso di rivalsa e nemmeno per una sciocca e comoda consuetudine. L’amore (che di questo si tratta) per il luogo natio non va verso il fuori da noi, è amor proprio. Io credo che ognuno è la propria terra quindi non c’è alcun merito ad amarla. E’ un destino crudele a volte, una condanna che ti richiama al senso profondo delle cose e delle tradizioni, ogni volta che provi ad esibirti in disinvolti balletti a metà strada fra la stupidità e il bisogno forte di essere accettato da altre culture e altre tradizioni.
Questo è il motivo per cui uno come me la Sicilia se l’è sempre portata appresso ovunque sia vissuto. Ho trascorso una gran parte della mia vita oltre lo stretto, in province molto lontane da qui, in città eleganti e pulitissime, con cieli e profumi diversi per l’aria. Non è facile vivere in una città o in una regione portandone un’altra sempre viva nella pancia. Milano, Torino…Roma, chi potrebbe negare la bellezza e la pregnanza storica e culturale di luoghi simili ma io mi sono certe volte trovato a pensare al pane e panelle in c.so Buenos Aires a Milano, o ai cannoli freschi di Palermo mentre camminavo sotto i portici di Torino o Bologna. Credo che si tratti di lucida follia ma le cassate fatte legeartis, la pasta reale, le iris calde, i gelati, signori miei, di pistacchio, di scorzonera o cannella, le granite di Catania, quelle ai gelsi neri con la brioche calda a panino…sono un richiamo carnale irresistibile. Io ai disperati che arrivano dal mare sulle coste siciliane darei un abbraccio e un gelato siciliano. Direbbe di noi molte più cose di quelle che si sentono in Parlamento. Siamo bastardi: tutti i popoli sono bastardi. Vengono da altri popoli e ne sono la fusione magari antichissima. I siciliani non potrebbero fare eccezione come non la fanno gli americani, i tedeschi, i sovietici, gli africani …e I FRANCESI! Bastardi tutti perchè i popoli cambiano a seconda di come la storia muove i loro destini ( o viceversa) e di come essa li colloca dentro le vicende di altri popoli. Qualcuno dovrebbe dirlo ai leader leghisti ed europei, qualcuno dovrebbe ricordare a loro il concetto di Eistein: le razze come categorie geneticamente diverse non esistono, c’è un unica razza quella UMANA. E’ un concetto di una grande banalità e mi sento un po’ minchione a scriverlo stamattina, tuttavia oggi è necessario, vergognosamente necessario. La razza umana si colloca in luoghi diversi e vive storie diverse, certe volte queste storie son più importanti e producono effetti più grandi e noi, che dobbiamo mettere un cartellino col prezzo a qualunque cosa, le definiamo EPOCALI.
Io la mia storia l’ho vissuta da siciliano che si sente italiano ( non riesco a dirla meglio), è questa coscienza insulare a permettere a quelli nati in Sicilia di sentirsi naturalmente italiani: non capisco perchè per gli altri italiani debba essere così difficile percorrere questa strada. Certo è un percorso che inficia molti interessi e privilegi, che necessita di apertura mentale e coraggio, non è una strada comoda sempre. Ma è l’unica.

avvertenza sui contenuti

Illustrations by Sterling Hundley

Stare male è un’arte, farsi male un surrogato. 
Avvertenza sui contenuti: lo stare male è contagioso. 
Mi guardo davanti allo specchio, nè bene nè male 
quindi la mediocrità assoluta.
 Il peggio nascosto. 
Migliorerò, sono sulla buona strada: posso rinvigorire il pene,
 trovargli alloggio, peccato che voglia sempre portarsi appresso due palle. 
Che palle! 
Mentre mi sto voltando l’anta dell’armadio sbatte per un colpo di vento,
 fine dello spettacolo. 
Ho cercato uno specchio per la mente e per la memoria, ho aperto questo spazio, ho lasciato in libera uscita i miei umori, ne fosse tornato uno indietro. 
Evidentemente non mi vogliono.

Finirà

Sono lento, circospetto, dubbioso a volte, letteralmente sfinito in certe sere come questa. 
Penso anche che è meglio poca pubblicità e poco rumore.
 Mi chiedo in questi giorni cosa ho da offrire. 
Quello che scrivo? Quello che penso? 
Quello che non dico ma si intuisce? 
La mia meditata confusione? Il mio stato generazionale sui generis? 
NON HO FINITO, VORREI NON FINISSE MAI. Finirà Gli spazi che cerco hanno un timbro inconfondibile: mi attraversano e ricompongono le mie fibre ad un nuovo avvenire. 
Sono i latifondi dell’anima.

Senza confini

Non so dove comincia il mare e dove iniziano le donne e l’amore, non so nemmeno se esistono confini così netti. Uno dei ricordi più forti di quella stagione della mia vita era il senso di unitarietà. Una meraviglia!
La vita, il sesso, il mare, certe sere a parlar di niente sotto le stelle…le stelle, un oceano di stelle come le puoi vedere solo in luoghi poco abitati e con pochissima luce artificiale.
RICCIOLE è questo, io ero lì dentro, non chiudo mai la porta all’universo, spero sempre di potervi rientrare ogni volta che scappo da questa dimensione di vita. Per lungo tempo mi sono posto lo stesso dilemma perchè sentivo che dentro di me scorreva acqua salata; chi ha praticato sport subacquei lo sa bene, conosce quel senso di magia azzurra che non è altro che il richiamo della vita antecedente.
Linosa, quella Linosa sono stati per me un regalo grande, scriverne è un voler in qualche modo diffondere il regalo. Il branco di ricciole che dopo un giro spariscono nel blu profondo l’ho fisso dentro gli occhi.. e sono passati decenni!

mercoledì 11 settembre 2013

Dal balcone di casa mia

A Palermo, in primavera… dal balcone di casa mia si vede il mare; il golfo, per intero, dall’Addaura all’Aspra, l’ho sempre davanti agli occhi. E’ un invito perenne a partire: non so quando lo prenderò sul serio, so soltanto d’essere diventato una corda di gomma, estensibile a piacere, adattabile a varie misure. Niente e nessuno può raggiungermi, io ho ancora paura!
Trascino le mie giornate, in pratica faccio solo questo, però mi so dare un tono. Sono poche le persone che sanno veramente di me, che conoscono la ferita e sanno che la mia riservatezza è soltanto indecisione. Ho ripreso in mano i libri di medicina con risultati più miserevoli di prima: mi manca una vera motivazione e poi non sopporto più nulla dell’ambiente universitario, dalle aule ai docenti, alle lezioni, ai discorsi con i colleghi…la verità profonda è che non accetto più me stesso e ciò è estremamente pericoloso.
Mi sento “giusto” solo quando trasmetto in radio, è ridicolo, a volte me ne rendo conto, ma è così.
Per riempire le settimane che non passano mai ho accettato gli orari più strani e i programmi fiume: riesco a reggere un’ora e mezzo di musica progressiva e alternativa assieme a Giovanni Russo, non è cosa da poco. Mandiamo gli Area, i Led Zeppelin, Klaus Schulze… c’è un pezzo che m’intriga parecchio e si chiama “concerto per una porta e un sospiro”, a me pare ciò che più si avvicina al mio modo d’essere; il vero problema sta nel fatto che non riusciamo ad infilare gli stacchetti pubblicitari fra un brano e l’altro.
Dolfo Miceli ci ha detto che la dobbiamo finire con sta’ camurria, che se non mettiamo la pubblicità ce ne possiamo andare a fare gli alternativi sulla spiaggia di Mondello o dentro il cesso di casa nostra. Ieri sera riunione di redazione: Giovanni ed io all’ordine del giorno ( anche se è sera?! ). Ad un certo punto, per spiegare allo zotico le obbiettive difficoltà estetiche che abbiamo col genere di musica che trasmettiamo, gli facciamo sentire un magnifico pezzo di Philips Glass in cui l’artista, per dare maggior risalto all’emozione della musica che colma lo spazio vuoto del nostro animo, nel mezzo preciso dell’ellepì lascia otto minuti di assoluto silenzio. Dolfo ci guarda sbigottito, non può credere che nella sua radio siano trasmesse cose simili. - Voi siete scemi, totalmente pazzi! Ma vi rendete conto che la gente penserà che s’è interrotto il segnale, che è crollato il palazzo, che è morto il dee jay (lo spera ardentemente). No, non si può ragionare con stronzi del vostro calibro ( è affranto ) voi mi manderete in…-
Si è bloccato all’improvviso e adesso ci guarda con occhi inspirati, vuoi vedere che abbiamo fatto breccia nel suo animo di gretto procacciatore d’affari? - Otto minuti, avete detto. Ma è perfetto, c’è perfino un margine di tempo. Ragazzi vi ho risolto il problema! La pubblicità la piazzate tutta dentro quegli otto minuti di silenzio- Giovanni l’ha mandato affanc…io invece, che non ho nessuna voglia di abbandonare l’ambiente, mi sono scelto un’altra fascia oraria. Adesso il mio cavallo di battaglia è il notturno da Radio Elle, 100,1 megahertz di magia stereofonica! Di notte sto bene. Prendo i dischi e vi lascio scivolare sopra la puntina; miscelo la musica dopo averla scelta e divento tutt’uno con lei. Faccio solo ciò che mi piace e, dall’ultimo piano di questo palazzo, Palermo è tutta ai miei piedi, la musica in cuffia e le luci della città che bucano il buio. Da un po’di tempo mi succede di uscire fuori da me e di osservarmi: è come se un altro uomo si materializzasse accanto a me e poi, scostandosi di qualche metro, mi scrutasse con estrema attenzione a braccia conserte. Non ha un’età definita, ma mi conosce bene: non è crudele con me ma molto esigente e, soprattutto, ha l’aria di chi conosce già il finale.
Ieri notte ha messo un braccio sulle mie spalle e, mentre i Jefferson Starship attaccavano “ Miracles “, mi ha detto: - Devi parlare con tua madre invece di cercare interlocutori improbabili. Ti farà bene, non hai altre scelte.E poi te ne devi andare, insomma è chiaro che qui hai fatto il tuo tempo e ormai giri in cerchio. Guardala bene questa città, Enzo, fissati il suo ricordo nella mente perché dovrà bastarti per lungo tempo-

Chiacchierare con mia madre: non conosco molte altre cose più dolci e piacevoli. La osservo, mentre mi parla dei suoi anni da universitaria…penso all’enorme fortuna di mio padre. Del resto non c’è nessuno che, dopo averla conosciuta, non le abbia voluto bene per sempre. Devo confessare che una parte di me, la più pigra e infantile, da questa casa non se n’andrebbe mai. Non sarebbe magnifico mummificarsi fra queste stanze, crogiolandosi nel lutto per il mio amore infranto? - Ho fatto un po’ di the, Enzo, te ne porto una tazza?- - Si, va bene. Così faccio una pausa con Patologia Generale-
Arriva presto con il vassoio e tutto il resto; siede di fronte a me e, come al solito, ha già messo il succo di un intero limone nella tazzina. Sono stufo di dirle che il limone lo doso io, ho il dubbio che si burli di me. A volte è ancora una ragazzina. - A quando gli esami?- E’ un po’ timorosa nel chiedermelo. – Tra un mese- Silenzio… - Ma tu, mamma, quanto impiegavi mediamente per un esame?-
-Non puoi fare questo tipo di paragoni, troppo diverse le materie e la struttura didattica degli atenei d’allora, non ti pare? – Ha detto proprio così, sembra una professoressa, in pratica esattamente quel che è; figuriamoci se non facevo la figura del cretino. Meglio cambiare argomento.
- Che anni erano quelli della tua università?- - Fammi pensare…beh, subito dopo la fine della guerra, il ‘48-49. In facoltà eravamo quattro gatti sai. Ci si conosceva tutti, in fondo l’ambiente degli universitari era abbastanza ristretto- - Vuoi sostenere che eravate un’elite?- - Si, lo eravamo…però ci mancava la coscienza sociale di esserlo, l’arroganza snobistica. Eravamo soprattutto giovani, Enzo, con una gran voglia di ridere, di amare. La guerra era ormai alle spalle.-
Quando lo dice fa uno strano movimento con le mani: lo stesso di quando nomina la nonna e i fratelli che non ci sono più. – E così in quell’ambiente hai conosciuto papà, universitario come te- Sorride, forse ha dimenticato i defunti. Lo spero, quello è un argomento terribile. Troppe ombre e ferite mai sanate, un rimpianto infinito. - E’ vero, ma l’ambiente dei primi incontri fu la Parrocchia di Via Terrasanta. C’era una bella atmosfera, avevamo grandi idee, grandi sogni. Tuo padre faceva parte di una compagnia teatrale giovanile, dovresti fartele raccontare da lui alcune cose. Ma sai che, per un po’ di tempo pensai che corteggiasse una mia amica? Invece cercava lei per arrivare a me, alla fine fu quell’altra ad aprirmi gli occhi.- - Quindi trascorrevi lunghi periodi a Palermo?- - Dipendeva da varie cose, la città era bellissima allora. Tu non puoi immaginare quanto, Enzo. Oggi, beh… oggi è quasi irriconoscibile. Se sapessi cos’era passeggiare di sera fra Via Notarbartolo e Viale Libertà, il profumo nell’aria, le signore eleganti, poche macchine…- L’ascolto senza interromperla. Ha una voce musicale, in casa non c’è nessuno e noi non abbiamo altro da fare che inseguire le immagini dei nostri pensieri. - Comunque gran parte degli amici e della mia vita era ancora legata al paese, ai compagni del liceo, ai parenti, agli amici di famiglia, Ti ricordi la signora Giannì? Abitava nella traversa dietro la Matrice, dove c’era la pasticceria di Don CocòVivona, prima del laboratorio d’orologeria di Giovannino Modica. E il dottor De Sabato? Tu l’hai conosciuto centenario, ma lui lavorò fino agli ottant’anni; lo rivedo mentre, durante la guerra, gira per il paese con il calessino per curare i feriti. Si era laureato alla regia università di Napoli, nella seconda metà dell’ottocento, a dirlo oggi sembra una cosa inventata. La moglie non l’hai conosciuta ma era un vero personaggio: la signora Totò che si piazzava davanti ai clienti del marito, dopo la visita per farli pagare perché il dottore… figuriamoci, lui se lo scordava sempre. Nella vecchia casa della nonna c’era una piccola porta che tu non puoi ricordare; metteva in comunicazione l’appartamento del dottore con il nostro. Lui così poteva venire quando voleva a visitarci, il palazzo era unico, lo sai. Poi sull’altro lato del corso, dopo la farmacia, ci abitava la vedova del pittore Gennaro Pardo. Restò vedova molto giovane, teneva sempre su un cavalletto in camera da letto… -
La voce di mia madre è diventata un sottofondo: lei continuerà così a lungo ed io farò ogni tanto un cenno col capo, per non distrarla. Vorrei nasconderle che sono a spasso, per i fatti miei, per le strade di Castelvetrano; dobbiamo compiere due tragitti separati, tenendoci per mano. Su e giù per le vecchie scale della casa di mia nonna: ho nel naso gli odori, diversi piano per piano. Dallo studio fotografico, passando dal vecchio salotto, sino alla cucina, in cima a tutto. Dall’odore di sostanze chimiche in camera oscura a quello di gelsomino in salotto, per arrivare alla mitica pasta col sugo e melanzane fritte, un odore che vale un pranzo.
Naturalmente nella mia mente in paese è sempre estate: il sole arroventa i marciapiedi e le cicale si sfiniscono nel loro perenne concerto. Nello studio dello zio entra un uomo minuto vestito di tutto punto:un bell’abito Professore Oliveri, sa’ bbinidica. Come stiamo? La signora?- L’uomo risponde con grazia, la voce è minuta come il fisico. Si siede in poltrona con un movimento lieve ed elegante assieme, pare che non abbia peso. – Vicenzino, buongiorno. La signora sta bene…qualche piccolo acciacco. Lo zio Leone invece, lo hai sentito? Combatte, mischinu, con un brutto affanno…forse il cuore…La stagione s’è presentata molto calda, le campagne sono già assetate…Vicenzino, ma non è la figlia del commendatore Infranca quella nella foto in vetrina?- Il professore discute di queste banalità tranquillo, con un leggero sorriso sulle labbra mentre tormenta il pomello del bastone. Pian piano si esauriscono tutti gli argomenti: quelli familiari, meteorologici, di varia umanità. Resta un po’ di cronaca cittadina: grande evento al Cine Teatro delle Palme, una compagnia di Palermo rappresenta”Il Trovatore” di Giuseppe Verdi. Anche il figlio del professore ha una parte nello spettacolo: meglio, una porticina nel coro… il ragazzo si farà, l’impostazione vocale è buona, per la presenza scenica bisogna lavorarci. Mentre parla, l’uomo si trasforma: i gesti diventano più ampi, anche il corpo sembra acquistare volume e gli occhi brillano felici. La lirica, il suo grande amore! Capace di trasformare una stanza qualsiasi in un palcoscenico teatrale. Una passione talmente grande da eliminare il senso del ridicolo quando inizia ad intonare un’aria dietro l’altra; mancano molte ottave d’estensione, ma non importa. Dove non arriva la voce lo soccorre il desiderio che gli brucia negli occhi, esce così dallo studio, salutando sulle ali del “Madre infelice, corro a salvarti”. Resta solo un gran silenzio. - Mamma, da quanto tempo è morto il professor Oliveri?- - Da più di dieci anni credo, era molto malato…era una persona cara…- Le trema un po’ la voce.
grigio, i pantaloni sorretti da bretelle la camicia chiara con una cravatta verde e, in fondo alla mano, un bastone leggero da passeggio col pomello d’avorio. Da come si muove si capisce che è di casa. -
Devo stare attento con mia madre, la sua sensibilità non è più controllabile da tempo. Basta poco: una parola, un nome, certe volte un aggettivo, i volti e i ricordi prendono vita e la trascinano via. Adesso è una sera d’agosto asciutta e piena di stelle, qualche amico si è aggiunto a noi per la passeggiata serale tra i templi dorici e lei sta chiacchierando con Pisani e la moglie. Papà li ascolta attento, ci sono anche le figlie, profumano molto e sono molto belle; Pisani si tiene accanto la bambina più piccola, quella nata inaspettatamente sei anni fa. Il professor Pisani parla e spiega con vigore da par suo la condizione di quest’ultima sua figlia e la terapia medica a cui la sta sottoponendo. La bambina segue i gesti del padre con i suoi grandi occhi neri: sorride lieve…anche quando non dovrebbe. – La farò vedere da uno specialista di Palermo. Si risolverà, tutto si risolverà!- E’ deciso, come sempre Pisani: stringe a sé la figlia ma gli occhi ed il gesto dicono altro. Raccontano un terribile tormento e una rabbia sorda per un affronto che la vita non doveva fargli. – E poi, mi deve credere, Concetta…- Abbassa il tono – La battaglia più dura è vincere i pregiudizi della gente- Mia madre annuisce con affetto, forse pensa, come me, che la vita ha avuto un bel coraggio ad infastidire il professore. Lui è ritto come un fuso, più alto della media, fisico da atleta con larghe spalle e vita stretta, tutto nel suo aspetto mette soggezione: il viso dai lineamenti decisi, il naso grande e affilato, quasi scolpito, i capelli mossi e brizzolati, gli occhi scuri e indagatori. Ma è la voce ciò che più imbarazza: profonda e quasi senza inflessioni dialettali per lui è un’arma terribile. Parla poco, a scatti, con frasi brevi, asciutte quanto le opinioni che esprime, dure come giudizi inappellabili. Il professore è tale per un titolo conquistato “ad honorem”: ha insegnato storia dell’arte durante la guerra ma non ha mai cessato d’esercitare la sua vera professione di scultore, intagliatore del legno e quant’altro. Pisani è un’artista. Guarda il mondo con un certo distacco, il viso burbero celato in parte dal fumo azzurrino dell’immancabile sigaretta. Qualche giorno fa, sfuggito al solito sonnellino postpranzo, in un caldissimo e solitario pomeriggio d’agosto, sono arrivato sulla soglia della sua bottega artigiana. Lui mi ha guardato con un certo cipiglio, però non mi ha detto niente ed io, che sono solo un ragazzino, ho interpretato il fatto come un salvacondotto e mi sono messo a curiosare in giro. La stanza, che s’apre direttamente sulla strada è enorme: un grande emporio di sogni per la mia fantasia. Teste e busti di gesso e pietra, fregi e sculture in legno, odore di cera, di stoffe e di strane vernici, pannelli carichi di lime, scalpelli, punteruoli, raspe e un arsenale di utensili sconosciuti. In un angolo semibuio, poggiato su una lastra spessa di compensato, troneggia un grande modello in legno del tempio E di Selinunte, in avanzato stato di lavorazione. Il modello non è in vendita. Quello è l’angolo di poesia e d’eternità del Professor Pisani. Senza rendermene conto me lo trovo dietro le spalle e mi giro a guardarlo: mentre si toglie di dosso un po’ di polvere col dorso della mano sembra non accorgersi della mia presenza e sorride con gli occhi socchiusi. Quindi si accende l’ennesima sigaretta e torna al banco dell’intarsio, al mondo reale e quotidiano, quello dove la sua bambina non avrà speranza.
Il the nella tazza è quasi finito, mia madre mi guarda in silenzio ed io non posso dirle nulla perché temo che possa leggermi nel pensiero, non voglio che vi scopra Pisani, la sua bottega e la sua famiglia. Oggi è difficile allontanare la mente dal vecchio paese in collina, forse perché capisco che non ci saranno repliche di questo documentario in bianco e nero. Mio nonno diceva che niente rende meglio il carattere di un viso delle sue sfumature di bianchi, di grigi e di neri. Mio nonno era un fotografo e riempì il paese di visi, congelandoli nel rettangolo di una fotografia; molti di essi ora dimorano, attaccati a delle lapidi, dalle parti del convento dei Cappuccini. Aveva ragione il fotografo, la brezza leggera che attraversa la grande piazza dove si affaccia il Teatro Selinus e il Palazzo Pignatelli è in bianco e nero mentre sta passando il cavaliere.

Lo spazio sorride attorno a lui e non potrebbe essere altrimenti: il cavaliere Vajana ha una simpatia naturalmente fusa ad un garbo squisito. E’ sempre vestito in modo impeccabile, sembra uno chansonnier francese dei primi del secolo, abito bianco immacolato, gilet,papillon, bastone da passeggio flessibile, scarpe lucide e paglietta. Non è un vecchio professore di liceo, nemmeno il notaio di famiglia, non è il farmacista e neanche il medico condotto. Il cavaliere Vajana esercita il mestiere di “apparatore”, qualcosa che la nostra società, adesso, non riesce neppure a concepire. Egli cura l’addobbo ( l’apparato) delle chiese in occasione di qualsiasi cerimonia, festosa o triste: si occupa di tutto, dalle luci ai fiori agli arredi e ai tappeti. Quando è soddisfatto del suo lavoro, attraversa la navata centrale della chiesa, esce dal portale e poi rientra per godersi il colpo d’occhio. Pare che ogni cosa fili sempre liscia per lui, ma naturalmente non è così: talvolta, mentre parla o saluta, si guarda attorno con gli occhi stretti a fessura, guardingo. Si è reso perfettamente conto del nuovo corso delle cose e di come il paese non sia più lo stesso. Probabilmente avrà valutato questo nuovo progredire un fatto ineluttabile e ad esso si sia non sottomesso ma neanche opposto, semmai lo abbia un po’ ridicolizzato. Per il cavaliere non vale la pena piangere sopra i bei tempi andati; di essi lui è rimasto, probabilmente, l’ultimo testimone e vuole uscire di scena con classe, senza piagnistei. Lasciare un buon ricordo, possibilmente allegro e vitale, questa è l’unica cosa da fare. Ed è appunto ciò che sta facendo, mentre attraversa la piazza vasta e assolata: un gruppo di bambini chiassosi corre appresso ad un maturo signore vestito di bianco. E’ uno scherzo…o forse no ma gli si fanno più vicini: i cuccioli rischiano qualche bastonata per il loro ardire? Il signore si ferma e si mette a distribuire a piene mani caramelle con un largo sorriso, poi si muove, allunga il passo per sparire nell’aria tremolante di caldo. Addio cavaliere; ora posso partire anch’io. Il lungo giro dei commiati è terminato.Vado altrove alla ricerca di qualcosa che m’appartenga direttamente, senza mediazioni familiari, che sia esclusivamente mio, qualcosa che mi faccia uscire da questo volano infinito di memorie. Parto e non mi accorgo che sto fuggendo.