A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


venerdì 21 febbraio 2014

DICOTOMIE RICORRENTI- Ciao Gina, questo è tutto.

Questa dicotomia maledetta, questa impossibilità di abbracciare alcunché in toto: il bisogno o forse l’istinto di scendere nei dettagli di comprendere il prima e il dopo di ogni dettato intellettuale, questo mi ha impedito di sedere con placida convinzione in qualsiasi consesso umano.
Non è stato sempre legato ad argomentazioni esclusivamente politiche o sociali, mi succedeva anche con la musica o l’arte; c’è stato un tempo in cui essere un “bastian contrario” pareva connaturato al mio viso. Non è così, io mi devo convincere, devo capire e non riesco a sorvolare con noncuranza sui mille compromessi che assillano la nostra vita. Non ho mai visto la schiera dei buoni assembrata solo da una parte del territorio, ho incontrato angeli all’inferno e vergini nei prostriboli. La loro presenza non cambiava la natura dei luoghi, non cambiava allo stesso tempo la mia valutazione su di essi, mi impediva, allora come oggi, di ergerli a campioni del mio panorama spirituale.
In rete dove il massimalismo e il bisogno quasi disperato di appartenenza è così diffuso, il mio modo di pensare trova sempre meno cittadinanza; c’è sempre qualcuno che “completa” il mio ragionamento e resta deluso o infastidito quando intervengo a chiarire o modificare l’altrui conclusione. I molteplici – non capisco- e gli insulti più o meno velati nascono da questa sragionevolezza congenita che mi impedisce di essere un uomo per tutte le stagioni.
E adesso la sera è tracimata in fretta su di me e sulla mia città appoggiata sul mare. Guarda che lunghissima notte, senti come si allarga su di me, come giudica e stronca, rappacifica e abbandona: era da molto tempo che non avevo una notte così. Non so perché scrivo: mi sono inventato tante ragioni ma erano altri giorni. Questa notte non posso e non so. Il narcisismo non basta, la cultura non serve, restano solo i desideri ma sono contorti e senza parole: situazione paradossale, ho un bisogno disperato di parole ed esse si annullano ma mano che nascono. La mia bacheca esistenziale è qui la vedete, non chiedetemi perché vi scrivo sopra o per chi: voi forse lo sapete? Quanto sappiamo di noi? Quanto veramente riusciamo a scrivere di noi? Dove si è fermata la nostra vita l’ultima volta e ci ha dato l’opportunità di inchiodarla sulla pagina?
A me è successo pochi minuti fa: davanti al golfo di questa mia città che dorme nel buio della notte…qualche nave alla fonda coi segnali luminosi regolamentari, i due fari di diverso colore all’imboccatura del porto, la grande luce più lontana sulla gru dei cantieri navali. Dorme Palermo o almeno pare dormire, senza sussiego e fondamentalmente indifferente alla mia veglia senza speranza. Non c’è alcun senso visibile a questo battere sui tasti, è solo un’estroflessione in cui a me o per te che leggi aggiunge la storia che essa vuole o che si è trovata fra le mani; ti avrei detto di più qualche anno fa, ti avrei raccontato bugie coloratissime e godibili, ti avrei significato la gioia e l’allegria posticce di raccontarsi in rete.
Stanotte la notte è seria: niente storie, fa quel che vuoi, scrivi se ne sei capace e non chiederti nulla. Si scrive per camuffare o vestire di sé l’altra scrittura, quella che ci portiamo dentro, quella che non lascia spazio a svolazzi sintattici e che non degna nessuno di benevolenze temporali. Se stanotte non mi fossi messo alla tastiera non sarebbe cambiato nulla, il mistero di questa veglia gonfia di attese e ricordi si sarebbe spiegato in maniera diversa, non potrò mai sapere dove e come sarebbe giunto ad altri da me. Non contiamo niente, non conto niente, non significa niente quello che ci facciamo scorrere tra le dita dicendoci l’un l’altro che siamo e dobbiamo stare attenti ai nostri personali confini esistenziali; è tutto altrove e non so dirvi dove ma lo vedo, posato un po’ più in là sul mio orizzonte. Una beffa, l’ennesima o sempre la stessa? Scrivi Enzo, lascia una traccia, questa notte che ci sei, domani potrebbe restare solo chi ti legge le carte, senza il tuo intervento a correggere l’inutilità del vivere così. Senza il tuo commiato. La notte è bellissima, la pagina non è più bianca e i pescatori tra qualche ora torneranno a riva: avranno una stanchezza meritata e non scritta, migliore di questa tua accidiosa e mentale. Dormiranno poi e non ci sarà nulla da leggere o commentare. Solo un buon sonno e un sorriso al risveglio.

martedì 11 febbraio 2014

Dietro le quinte

Al di qua di questo blog c’è una stanza abbastanza grande che vive in un’apparente quieta penombra.
I mobili hanno tutto il sapore e il colore che solo un certo tempo può regalare loro, gli oggetti posati su di essi raccontano la mia vita: spesso sono un racconto anche per me che credo di conoscerli bene.
Al di qua di questo grande paravento informatico i bites svaniscono, perdono dignità, resta solo la scrittura; il nero su bianco scorre per me immutabile e vivo, mi prende quando sto per cedere all’accidia di vivere senza un senso, mi ama anche se io ho detto in giro di non amarlo più.
Non riuscirò mai a trasmettervi il brivido dolce e fermo della mia prima lettura di Svevo, il sogno un po’perverso e liquido del primo Dannunzio, la pienezza ferma e riflessiva di alcune novelle pirandelliane…la mia Adriana Braggi che scopre l’eternità sulle soglie di una morte annunciata, il desiderio di vita che si accompagna alla fine del mio Pavese del 1967.
Nella penombra la luce si dispone in modo teatrale, regala un’apparenza diversa in base ad un gioco che, nuovo ogni volta, esalta o annulla quello che mi sembrava fondamentale un attimo prima.
La mia letteratura vive un’ipnosi eterna che io ho in parte regalato all’amore e alla passione: non torna mai indietro dai suoi viaggi senza portare con sè una nuova morte, un nuovo disagio e una nuova vita; fuori da queste stanze l’ordine e l’armonia con cui fisiologiche si dispongono le righe si trasformerebbero nel più bieco teatrino della poesia di tendenza e del mellifluo d’alta classe. Qui dentro sono un lampo accecante, un brivido e la consapevolezza crudele e fiera di esserci e aver vissuto; qui i miei amori sono confluiti nell’unico amore che mi farà compagnia quando la luce si spegnerà, le mie idee non avranno il tanfo dell’ideologia ma il sorriso sereno dell’aver capito.
Al di qua del blog che voi leggete c’è un mondo che lascia di sè soltanto un riflesso lontanissimo di me e di voi; solo la musica che siede in un angolo dell stanza quando si alza maestosa può regalare almeno un’idea di quanto è accaduto qua dentro. Ma molti di voi non l’ascoltano e non sapranno mai dove è andato a riposare per sempre il pensiero di me che scrivo. Nessuno riuscirà a immiserire queste pagine e il loro autore, non perchè egli meriti più degli altri ma solo perchè custodisce la propria piccola parte di luce che altri hanno buttato via.
Se scrivo vi amo, se vi rispondo cambio le note in cacofonia, se vi leggo cresciamo, se accetto il confronto ci sviliamo tutti. 
Quando arriva puntuale la sera io sfioro le superfici dei miei pensieri ad occhi chiusi per riconoscerli al tatto, per sentirli fluire, riconoscermi in essi e capire dove li ho traditi; non esiste palcoscenico adeguato a questo dietro le quinte, solo sussurri che giungono deformati dall’attesa e dal bisogno. Non vi serve, non mi aiuta, non fa scrivere. Il vetro opaco che divide il mio mondo dalla immaginazione che chiunque di voi, senza colpe, se ne è fatto, rimarrà la dove è sempre stato, la responsabilità terribile di raccontarvi volute bugie o più che dignitose mezze verità ricadrà esclusivamente su di me: non vi dirò dove e se c’è il trucco, non vi chiederò nulla ma pretenderò molto. Quando le prove d’orchestra saranno terminate, nessuno di noi riterrà queste questioni importanti. Volgeremo tutti il volto verso l’origine della musica e sorrideremo finalmente riconoscendoci dentro il suo divenire.

venerdì 7 febbraio 2014

Finirà: i latifondi dell'anima

Gli spazi che cerco hanno un timbro inconfondibile: mi attraversano e ricompongono le mie fibre ad un nuovo avvenire. Sono i latifondi dell’anima. Al loro interno puoi trovarci di tutto: fogli di quaderno riempiti di parole, segno di un vizio antico, scarpe usate su strade ormai svanite, vecchie foto…anche dieci vecchie canzoni e un titolo non sempre centrato, un piccolo disco argentato al posto delle grandi padelle nere piene di piccoli solchi. Quello di Luca Carboni e la sua musica ribelle. Per la musica, per certa musica, è come per gli affetti e i ricordi del tempo passato: impossibile darne un giudizio obiettivo. E soprattutto inutile.
C’è il cuore, la gioia e la malinconia di quella che allora fu sorpresa e tutto questo s’impasta con l’ascolto di oggi, con la “maturità” del presente. Per un ragazzo gli zingari felici di Claudio Lolli o “la casa di Ilde” di De Gregori devono per forza suonare diversamente; chissà, forse l’impatto iniziale è maggiore rispetto al mio ma mi domando se la sorpresa c’è, se il senso di apertura che io provavo allora esiste ancora. “ Le nostre braccia arrivano ogni giorno più lontano…è vero che non ci capiamo e non parliamo mai in due la stessa lingua”. Gli zingari felici li vidi molto tempo fa, io non posso e non farò mai parte di quel gruppo; potrei essere felice in altro modo…o in un altro tempo.
La società in cui sono cresciuto ai miei 17-18 anni era povera di tecnologia, dura e piena di vetri taglienti, coloro che mi avevano preceduto tentavano di aggrapparsi ai nostri vestiti per non sparire dal palcoscenico. Li abbiamo fatti annegare per cantare una musica diversa, quella di Anna che ha 18 anni e si sente tanto sola, ha la faccia triste e non dice una parola tanto è sicura…Non voglio fare mea culpa cretini: fu così, eravamo così, andavamo al liceo con giacchina e cravattina, togliersele fu una rivoluzione!
E’ il profumo di quella rivoluzione che mi impedisce di essere obiettivo ma, in fondo, cosa me ne frega? L’ombra di mio padre è ancora due volte la mia però adesso lui cammina ed io corro. Credo di sapere dove mi dirigo e non mi piace; serve a poco ascoltare vecchie canzoni ma è bellissimo. Illusioni, ecco cosa rigiro nelle mani, illusioni forti e dure a morire, non allucinazioni: le voci originali in alcuni casi sono assolutamente insostituibili. Mi spiego: se prendi un’idea, uno stimolo e lo riproponi devi farci all’amore in modo completo prima di uscire allo scoperto, i coiti frettolosi non servono e queste dieci canzoni sono amanti esigenti, in alcuni casi possono stritolarti. Luca Carboni si salva per un pelo ed io resto un signore maturo con un CD in mano e poca confusione in testa, troppo poca per lasciarsi andare ad entusiasmi giovanili…abbastanza per scrivere una cosa come questa.

Amori perduti

Amori perduti è un termine che mi piace tanto. Dentro l’amore quello vero vero c’è il senso di una perdita, di uno smarrimento profondo: se non ti perdi non è quel tipo di sentimento, può essere cento altre cose, tutte rispettabili, ma non quella cosa. Se ami sei perso per sempre, anche se tu poi non ami più o lei ti lascia, non conta. Conta il senso di una magia che non c’è più, che ti faceva fare e vivere in modo diverso.
Diverso come? Diverso! Diverso camminare, respirare, mangiare o non mangiare, guardare un film o stare per i fatti propri ( si può anche da innamorati) e fare l’amore. Quello per la verità è un capitolo a parte, capitolo difficile. Se ami non fai l’amore, ce l’hai dentro e lo tiri fuori, non ti vedi mentre lo fai e quindi non hai nessuna pruriginosa fantasia sessuale, non c’è sesso nell’amore ma solo sviluppi trascendentali di una nobiltà eterna che hai come patrimonio da spendere. E lo spendi male, sempre.
Io parlo per me, che di voi non m’importa in questo frangente: non so come fate l’amore o come lo disfate, non mi interessa adesso mentre scrivo, se penso a voi scriverei altre cose e sarebbero sciocchezze false, io devo pensare a me, solo a me se voglio dire stupidaggini sincere. Il concetto di piacere sessuale sta stretto dentro il mio amore: prima no, prima ci stava benissimo ma era un’ipotesi. Ho amato due volte in tutta la mia vita, la seconda volta è stata dura perchè la prima ferita era stata profondissima. Ci Ho riprovato e la chimica era perfetta. dai tacchi ai capelli, dal modo di camminare a quello di fare sbattere i denti mentre ci baciavamo ed eravamo persi, dal senso di vuoto peneumatico all’inguine che friggeva di piacere. Non mancava niente finchè lei non si è guardata e non si è sentita diversa ( mi disse così) e da amore divenne solo amica confidente, sostegno psicologico. Non c’è niente di più castrante del sostegno psicologico per un uomo… vieni tesoruccio che sei triste, quanto sei triste e pensoso, vieni che ti faccio scopare che così poi stai meglio, io non ne avrei bisogno però ti sono vicina, ti aiuto, ti amo ( forse adesso ti voglio solo bene) ma tu stai tranquillo, uomo, entra che ti accolgo, un caffè ? Vuoi parlare prima? Certo che se facevi diversamente, se producevi di più, se quella volta stavi zitto e quell’altra invece parlavi, se avessimo, se fossimo…ma non siamo. Però vedo che tu sei scemo come il 99% dei maschi e non te ne sei reso conto ancora; vabbè aspetterò che capiti l’occasione giusta e poi si vedrà.
Non ci sono tante chances per l’amore, una o due e poi stop, poi solo i ricordi su una pagina, un post sugli amori perduti che vagano là in alto come personaggi in cerca di autore e non ne avrebbero bisogno. Qua in basso restano solo le conseguenze della perdita: un vuoto secco di anima, un disperato tentativo di far finta di niente. E le mani vuote senza più magia in attesa che venga il tempo giusto per poterne parlare in modo appropriato perchè l’amore alla fine è un patrimonio stupendo che resta come resti tu. Bellissimo e innamoratissimo un attimo prima del crollo di un’epoca, ma se giri la moviola al contrario e spacchi un fusibile diventa tutto un lunghissimo rallenty e lì dentro quelle due donne sono di uno splendore assoluto e tu perfetto con loro in quel trailer. Spero che voi siate innamorati. Io non più.

martedì 4 febbraio 2014

Solo un'illusione

Mi domando talvolta se un blog possa vivere di vita propria. Le cose scritte restano per definizione ma crescono? E se è così dove vanno e qual’è il loro destino? Un amore o una sconfitta raccontati e centellinati dentro le parole battute su una tastiera, cristallizzati in una dimensione a parte che non è quella del divenire quotidiano, emozioni così, cosa diventano poi negli occhi e nella mente di chi legge magari a distanza di molto tempo? Io sono ancora “vivo”, vi leggo e passo di qua quasi ogni giorno. Con grande inspiegabile malinconia, nessuno mi ha indotto a scrivere su questo blog, non c’è alcuna costrizione e nessun secondo fine…pare un fatto fisiologico per me. Il desiderio o il sogno di rivelazione e scambio, liberazione e confronto, analisi e gioco, riflessione e comprensione, se un blog è questo io evidentemente posso seguire solo questa corrente. Il fatto che sia una persona esigente può essere un problema ma ho pensato spesso che se questo spazio non riesce più a correlarsi col mondo nella maniera da me voluta, è meglio che resti in una sospensione infinita in attesa di una vita che verrà. Il concetto di utilità in un Blog mi è sempre sembrato lontano da me, praticamente improponibile e per tale motivo molto accarezzato: il primo titolo in rete infatti fu Inutilità al potere, evidentemente presagivo.
Con alcuni di voi sarebbe necessario un discorso “in privato” e non è detto che un giorno non capiti l’occasione di farlo. Ma quando le parole sono troppe bisogna riempirle di silenzio. E’ l’unica cosa che serve per capire o per provarci almeno: io mi trovo spesso “confuso” in rete, quasi smarrito davanti alla pletora di suoni e di voci. Invecchio. Se non sono riuscito a comunicarli i miei viaggi e i miei aneliti sarà un difettto esclusivamente mio, non dipende dalla mancanza di volontà nel renderli palesi.
Questi luoghi, incredibilmente, hanno anche una funzione terapeutica: se quello che sei è ciò che scrivi, se quello che ami è ciò che dici o lasci solo intravedere, allora il tuo blog galleggerà in rete a lungo. Vorrei sinceramente raggiungere un accordo con me stesso, lo leggo ogni volta che scorro le vostre pagine…e mi sorprendo. Poi mi dico che è solo un’illusione, la vostra come la mia, un sogno proibito e svanito nei fumi dell’ennesima estate che avanza. Non ha molta importanza sapere se è vero o no. Mi mancate. Tutti...un giorno, tempo fa, stavo per battere un commento ma mi sono perso dentro le vostre parole, pensavo che era bellissimo starci fra le braccia ed ho capito che a molte delle cose che scriviamo si può solo sorridere e annuire. Lo ritengo un privilegio.

Anni difficili


Edward Weston photo


Rimanere solo e guardato con sospetto, essere insultato in modo crudele, vedere distrutte le proprie parole solo perchè diverse da quelle di Repubblica o del Il Giornale, lontane dai cori del politicallycorrect., vedersi regolarmente massacrato da stronzi o stronze che non sanno nè leggere nè scrivere mi ha fatto “impazzire”. Qui il riproporsi dei problemi legati alla solita fauna mi sembra impossibile. E’ semplice il mio disegno io non ho il copyright legale del mio spirito, non ho nulla da dirvi, nulla da raccontarvi in senso assoluto e aprioristico VOGLIO SOLO STARE DAVANTI ALLA MIA VITA, COLLOQUIARE CON ME STESSO E POCHI ALTRI NON DOVER TEMERE EQUIVOCI SINTATTICI NON AVER BISOGNO DI SPIEGAZIONI CONTINUE...

La musica e dopo

Andiamo con ordine, col mio ritmo evidentemente. Il primo incontro con la musica riguarda l’infanzia e il teatro alla Scala: il primo pensiero che in qualche modo costeggiava l’amore fu dedicato ad un giovane primo violino dell’orchestra che suonava il secondo per violino e orchestra di Brahms.
Il sentiero è stato molto lungo ed io continuo a percorrerlo: vorrei sinceramente saper fare musica, mi sono accontentato di trasmetterla in radio ma lei è sempre lì intorno ed è per questo che i brani li abbino. Spesso scrivo un post perché prima ho sentito una musica e ho deciso che era “la musica”. E’ un fatto molto più personale delle righe del post, è una decisione intima e le parole le vanno appresso.
Tutti quelli della mia generazione sono diventati dei macigni, i migliori delle pietre rotolanti e come tali destinati a schiantarsi giù in fondo; rotolando abbiamo attraversato quasi tutto l’attraversabile e di fatto ci siamo allontanati da ogni cosa. Lo dico e la cosa finisce lì perché non ho niente da insegnare e francamente non mi pongo più il problema della consistenza del mio macigno ruvido. Cosa ho fatto negli ultimi 50 anni? Ho ascoltato Dylan per esempio “non hai mai capito che non era una cosa positiva non hai mai lasciato che altre persone si prendessero i calci destinati a te. Eri abituata ad andare a spasso sul cavallo cromato con il tuo diplomatico che portava sulla sua spalla un gatto siamese. Non è difficile scoprire che lui non è dove ha detto che sarebbe stato dopo che ha ottenuto da te tutto ciò che poteva rubarti “. Ma anche i Rolling e i Genesis e poi Faber e i Led Zeppelin. C’erano gli Who e Jimi e i Jefferson Airplane e tutti nostri cantautori.
Mi illudo che cantino per me, che mi dicano -ehi stronzo non ti sei stancato di battere su una tastiera? Hai provato a raccontarci, a raccontarti?- Non ne sono sicuro, forse, tra una fuga e l’altra ma senza alcuna autoanalisi ormai, non qui e non adesso. Voi vedete spiragli? Io vedo spazi immensi e spesso vuoti di idee e di musica. Mi accendo una sigaretta e non mi domando più dove ho posato il mio fardello. È probabilmente a causa di ciò che sono insopportabile ma in fondo basta rispedirlo al mittente con la tassa a suo carico. Tu dici che tutto sta dentro l’ultima frase? Azz, sono nudo, il tempo si è contratto e poi dilatato e mi ha fregato: c’era una marea di roba lì dentro e adesso si è sparpagliata ovunque e dice a tutti quello che veramente sei: un clochard di lusso, uno di quelli cui si diceva - il tuo fondo schiena è stata una parte molto apprezzata nei suoi tempi migliori, non è vero? Le persone ti hanno chiamata, dicendo “Attenzione bambola, stai per arrivare al tramonto-
Sì è vero le musiche le abbino, mi piace ma in fondo non cambia poi nulla e la solitudine resta com’è, scritta o cantata non perde l’abito che le è proprio. Lei sta lì entra e esce da questo spazio o da altri: mi possiede. Certe volte penso che era già accanto a me quella sera di febbraio quando mi sedetti in sala e le luci del grande teatro pian piano di abbassarono per lasciare spazio all’orchestra. Iniziò da lì l’incantamento sottile e perpetuo che ha segnato la mia vita, un piccolo segno o una nota piccola, esitante ma già definita—————————– UNA LINEA SOTTILISSIMA E TENACE——————————— che divide come un bisturi la mia vita: di qua e di la ma anche sotto e sopra. E’ un gioco maledetto perchè non ha un senso compiuto ( non adesso) non ha tempi definiti o prevedibili. Scambia le posizioni, inocula il presente nel passato e ne fa cosa nuova. Le scuse, i giudizi, le poesie, le parole, i segni, le lacrime, i sorrisi i miei amici e i miei sogni, le mie terribili irritazioni e la mia quieta malinconia di sempre, la linea attraversa tutto e se ne frega di me è sempre un passo davanti a me. So esattamente dove andrà a colpire, il mio corpo si sta preparando, non bisogna far altro che vivere.

lunedì 3 febbraio 2014

Due ottave



Il tuo violino suonava due ottave
sopra la mia
comprensione
anni in anticipo sul mio
sgomento
La nota  sempre quella del primo
istante
del primo sguardo
Adesso so che non c’è
altro
Non esistono altri spartiti
Altre possibili fughe
Resto impresso per sempre sullo stesso
rigo.
Il tuo violino suonava due ottave sopra
La sua eco incide ancora.

Contatto! Staccato?

Ci siamo detti cose verissime, ci siamo sussurrati epiteti atroci, abbiamo posato le nostre menti fuori dal nostro intelletto, siamo rimasti nudi.
Nessuno di noi due può pensare di restare com’è per più di un minuto, entrambi trasciniamo fuori dalle nostre abitudini il senso di una vita che ci sfugge sempre un attimo prima che noi si giunga a toccarla.
Se tu fossi un’altra da te, più adattabile ai miei spigoli non ti avrei mai risposto ma sei invece incredibilmente te stessa, lucidamente assorta in una ricerca che nessuno può nascondere come parte del suo ignoto esistere. Credo di essermi innamorato di te e di averti odiato quindi con tutto me stesso: non ho più intenzione di concedermelo quel tipo di emozione, più la nego più mi uccide a tradimento. 
Non voglio morire senza capire, senza alternative, senza altre possibilità che quella di schiantarmi sull’ennesima delusione. E’ stato così ed è stato, ma sarà anche stavolta, per sempre: non ci sono altri interlocutori, non c’è bisogno di interpreti delicati e sensibili. Serve solo capirlo e dirlo, tutto il resto è banale analisi di ciò che è avvenuto e che non si ripeterà mai più identico. Pensi che mi importi delle altrui situazioni limite? (ammesso che ce ne siano) Cosa ne so io cosa ne sai tu, che senso ha ormai saperlo? Non è vero che non sai decidere direzione, ne hai molte davanti e scegli sempre la più facile. E’ vero che sei fragile, fragilissima, a poco poco diventerai trasparente e finalmente diventeremo due ellissi che solcano il cielo sfiorandosi senza mai toccarsi. Questo è un addio,  rispettami e rispettalo: contatto stabilito, contatto cessato, contatto da ricordare.

Solo un' occasione

Un po’ vi odio, soprattutto quando andate molto vicino alla verità: un po’ vi vedo quando scuotete la testa o dite ci è o ci fa? Però dovete capire che questo blog è già quasi interamente scritto e c’è un motivo, anzi forse più di uno. Io sono fuori per adesso, ma ho trascorso la mia vita dentro e fuori due o più dimensioni parallele: non sono riuscito a far coincidere il Dott. Riccobono medico dentista, divorziato da circa 20 anni, libero professionista in Catania con gli altri me.
Per esempio con Vincenzo pelo rosso del movimento studentesco di Milano del 1970,
con Enzo occhi chiari di Tiziana, con lo stesso di Ornella ,
con Enzomio di Giusy davanti al mare di Trapani,
con Vicè di Radio Elle Palermo 100, 1 mGhz di frequenza stereofonica notturno sopra la città del 1978.

Non ci sono riuscito nemmeno con gli altri belli esemplari di omo minchionis postmoderno come Enzo facciamo l’amore subito qui dietro villa Bellini del 1980 dentro questa cinquecento e il tenente d’artiglieria a Modena del 1981 ( si metta sull’attenti quando legge!).
Qualche volta ci ho provato, qualcosa o qualcuno mi ha illuso di esserci riuscito..
Papà mi registri un pò di quella vecchia musica che ascoltavi quando eri giovane?…
sto per arrivare Enzo, ti amo…
lei è un uomo in conflittualità permanente, accetti questo 24 o è peggio per lei…
Collega Riccobono non penserà davvero che queste sue teorie sull’ordine dei medici siano accettabili?…
sei in ritardo di 15 giorni sugli alimenti Enzo!

La sensazione che ho da qualche anno è di essermi fatto stuprare, di aver permesso l’attraversamento libero e di averlo condiviso ignorandone l’effetto finale. Certo ci sarà pure un modo di sistemare prima o poi tutto questo materiale sullo scaffale: il blog che ogni tanto sfogliate serve anche in tal senso…o no?
Il Blog, tutti i miei blog, sono una parte della mia vita, quella che sono riuscito a scrivere perchè scrivo da sempre, sui quaderni con copertina nera degli anni 50 delle mie elementari ( quaderni che mia madre, la mia incredibile e amatissima madre conserva ancora) o sulle agendine da novello Heminguay degli anni che sono seguiti. Francamente credo che il cammino sia segnato e in fondo non mi dispiace, scrivo e mi incazzo mille volte al giorno, ho un nodo qui dentro che si scioglie solo così compulsivamente per un breve istante davanti alla fila ordinata di questi segni neri su fondo bianco. Il blog lo ripeto è già scritto, lo è stato da sempre, WordPress o Blogspot sono stati solo l’occasione, il mezzo per travasarci dentro tutta la parte di me che ci entrava, era scontato che tracimasse e rompesse i cabbasisi ai vicini…non sono un rompicoglioni, sono curioso e purtroppo so leggere e scrivere e lo sanno fare tutti gli altri me stesso che mi accompagnano.
Non sono nemmeno così misurato e classico come faccio credere ( un po’ mi diverto) però non posso sfuggire nè alla mia educazione familiare e sentimentale nè alle mie esperienze: ci provo talvolta ad accomodarmi in salotto ( sono bravissimo anche in jeans e t-shirt) ma poi mi chiamano dalle altre stanze… Enzo che minchia stai dicendo? Enzo non so che fare di te… C….a sei per sempre…figli miei non ho una lira quindi stasera panini al lungomare… Dottore lei non è di qua vero? Si sono di qua e di là… mi accorci le maniche di questo smoking e faccia in fretta… Riccobono il suo tema è da 10 ma poichè non sono uso dare il massimo… Immaginazione al potere…Compagni del movimento siete fascisti!
Voglio chiudere il cammino qui nella mia isola e davanti al mare: mi pare bellissimo. Prima chiuderò questo blog ma solo quando le parole saranno esurite, nella speranza che risuonino ancora a lungo nella testa di qualche giovane blogger che nulla sa di me e delle mie sciocchezze (rido a pensarci). Certo se in rete dopo qualche anno i blog fermi vengono cancellati…per favore copiatemi tutto come un incunabolo del trecento e ripostatemi altrove. Anche senza citarmi che tanto vengo fuori lo stesso. Anche con malizia. Anche con affetto se ne avete. Tanto prima o poi scriverò altrove mi hanno detto.

Spazio alle parole

  

Ritratto di Gabriel Pacheco

Spero che leggiate e possiate capire. Spero che sorridiate aprendovi alla verità che ci sovrasta: non potrei mai dirvi le stesse cose mescolate al chiasso che normalmente la vita fa.
Bisogna dar spazio alle parole. A quelle grosse e a quelle piccole. Anche questa notte ho sognato ed era un sogno a tratti confuso, dentro c’eravamo proprio tutti: anche quelli che non visito mai. Però non c’erano gli equivoci e le prese di posizione assurde con cui, scendendo nella blogosfera, conviviamo tutti.
O meglio, tutte queste cose stavano appiccicate ad una piccola parte del soffitto sopra di noi. Più in là si apriva un cielo grandissimo CHE CI ABBRACCIAVA TUTTI E RIDEVA DI NOI. A me, che guardavo il mondo, qualcuno che non ricordo diceva “Fai bene a non prenderti troppo sul serio”. Sono seriamente attratto da tutto questo universo che abbiamo costruito ( o ci hanno costruito? )
Si è levata una grande risata ma non era sarcasmo era consapevolezza e non era di qualcuno in particolare. Era anonima, era l’emozione di vivere perchè quella di credere è già passata. Ma tornerà.

Scivola

Quanto il virtuale ci allontana dalla vita vera? Quanto valgono veramente le diatribe accese, le discussioni più o meno serie in rete? Quanto di noi resta di sincero su questo strano oggetto che chiamiamo blog?
Credo che ci prendiamo troppo sul serio.
Credo che spesso non siamo all’altezza di presentarci in pubblico.
Credo che molti di noi aprano un blog per stupido esibizionismo o per un malcelato senso di autoaffermazione.
Credo che io debba mondarmi da un certo numero di peccati. Ma dirlo o farlo qui non basta e non serve. Per vivere con un minimo si serenità e per continuare ad aprire la porta di questa casa devo SCORDARMI DELLA GRAN PARTE DI VOI, esattamente quello che sto facendo in queste settimane.
E’ un forzatura terribile ma, senza, dovrei cinquettare allegramente convenevoli talmente ipocriti da essere inascoltabili. La vita, la mia vita cammina altrove. Così com’è, senza troppe distrazioni, con molte letture, abbastanza noia e qualche incazzatura. Questa domenica scivola via nel ricordo di una serata con un po’ di sano Jazz e una cenetta parca con un paio di amici. Scivola per entrare nella sera che precede un altro giorno usato senza avere il tempo di baciarlo e stringerlo stretto. Scivola con me: guardo il golfo e molte cose diventano inutili, molte persone vuote. La mia vita passata.

Il mar delle conchiglie ha voce umana

 Voglio provare almeno a volgere il tutto in una dimensione culturale adeguata a quest’isola, a ridarle con orgoglio il posto che le spetta al di là e al disopra delle farneticazioni leghiste. Comincio con alcuni versi di un confinato a Lipari (Eolie) negli anni trenta: Curzio Malaparte.


-E sempre a questa solitaria riva
Io vengo, alba marina, ad incontrarti.
Svela un lieve chiarore a poco a poco,
sparsi sull’arenoso
lido gli ossi di seppia e i pesci morti
dai tondi occhi innocenti,
e le conchiglie dalle rosee labbra.
Già trema nei velati occhi amorosi
L’azzurra alba lontana.
Il mar delle conchiglie ha voce umana.-
 
Non mi pare che tali versi esprimano solo tristezza; c’è malinconia, c’è apertura, c’è sogno, c’è vita nell’isola. Si avverte un abbraccio, una confidenza amicale che probabilmente altrove non avresti.
E già argomentare di queste cose in questo modo mi fa sentire l’enorme lontananza dalle posizioni “continentali” che privilegiano altri aspetti e definiscono la mia terra come condannata ad una vita “inferiore”.  Oggi più di ieri, del sud e della sua isola più grande questo paese non può fare a meno.
L’effimero ci prende, ci possiede: la relatività ci permea da secoli…ve la regaliamo. E’ un dono prezioso e un punto di riferimento contro l’assolutismo continentale che tutto vorrebbe chiuso in “logiche di mercato”. Avrei voglia di dire altro ma rimanderò ad una prossima occasione il desiderio di raccontare altro della mia terra “metafora” dell’Europa come diceva Leonardo Sciascia.
La letteratura e l’arte europea, in alcuni snodi fondamentali, sono state siciliane. Il metafisico poi e la particolare fusione di umori generati da una posizione e una storia al centro di un mare come il Mediterraneo sono solo un plusvalore che ciascuno può gestire come vuole; la poesia e l’assoluto che ne discendono non sono certo programmabili, sono, punto e basta. L’ho detto, in privato e lo ripeto qui: per un siciliano è facilissimo isolarsi e volgere lo sguardo alle infinite fascinazioni che può scorgere verso il mare. Solo una voluta e consapevole idea di Stato comune può mutare questo habitus mentale e spostare il baricentro verso il nord, oltre lo stretto. Fuori dai denti, io ritengo che l’italia del Nord dovrebbe ritenersi onorata di avere compreso nel suo territorio la Sicilia: solo una visione piccola e mediocre, culturalmente micragnosa, può guidare un atteggiamento tanto sdegnoso e superficiale verso la terra su cui sbarcò Giuseppe Garibaldi.

Stucchevole

Diventa sempre più evidente che quello che scriviamo arriva più o meno nelle immediate periferie del nostro “intimo vero”: non è una critica per nessuno, è solo una constatazione della dinamica complessa tra lo scrivente e chi legge. Se a questo si aggiungono problemi tecnici e temporali allora la comunicazione nei blog si riduce e diventa più difficile capire e capirsi. Cominciamo a rispondere dunque, a parlare con quelli che entrano qui e mi parlano, mi onorano della loro compagnia e danno un senso vero e profondo a questo blog; senza i vostri commenti io sarei intellettualmente dimezzato.
Io ODIO la moderazione, la odio come principio e come assoluta perdita di tempo; da tempo non ho tempo amici miei e spesso leggo il blog tramite un Iphone, con quello la necessità di aprire ogni volta con Pssw e email le finestre di dialogo diventa una prassi lunga e sfinente: calma e lucidità due beni preziosi conditi dal sale del tempo. Ma se per lunghi anni non avessi avuto la moderazione questa blogosfera mi avrebbe già carbonizzato, lo dico per esperienza personale, non ho nessun dubbio su questa asserzione…rimarrà per sempre il mistero perché io debba ricevere mediamente almeno un paio di commenti anonimi al giorno pieni di livore. Io non ho mai preteso identità di vedute ma pare che su molti blog ciò vada di pari passo con una forte tendenza a svilire il proprio interlocutore.
C’è qualcosa nel nostro modo di interagire che ci sfugge di mano, qualcosa che ancora non riesco a definire, che è figlia di una specie di radicalismo comunicativo e che suona così dimmi solo quello che voglio sentire come lo voglio sentire e quando lo voglio sentire. Non seccarmi, sono stanco di perdere tempo con chi è fuori dal mio giro, di non fa parte del mio entourage “non mi conosce” mi costringe a spiegare a fare fatica e dio non so se tu lo meriti. Il web è grande, è ricco, c’è tanto spazio vai altrove. Vai, vai..che è meglio.
A proposito dei diari virtuali di cui parlano in molti penso che in fondo tutti blog siano dei diari elettronici, magari camuffati sotto altre vesti ma credo anche che sia necessario mettere l’accento sulla qualità del vissuto che si racconta, laddove per qualità si intende non tanto quella letteraria ma quella personale come verità partecipata. Lì cascano molti asini e, se facciamo autocritica seria, siamo tutti nel recinto.
Non è una questione di leggi che proibiscano o indichino cosa scrivere e come scriverlo in rete ma spero converrai che lo sfogo come abitudine reiterata è almeno stucchevole… io per esempio divento stucchevole! Ogni volta che cedo alla rabbia e mi sfogo, qualunque sia il livello letterario dello stesso io perdo,  perdo e annoio, mi contorco su me stesso e invito subdolamente chi legge a compatirmi o confortarmi: non è questo il giusto orizzonte di un blog, non per me ma ci casco lo stesso. Lo sfogo ha un senso se resta isolato, hai mai notato come lo stesso argomento reiterato in varie salse e vissuto in modo sottilmente ossessivo può annullare qualsiasi bellezza in un blog? Io ci penso spesso e non mi sento scevro da colpe…se scrivi in pubblico non hai il diritto di rompere le scatole e annoiare solo perché hai un rospo in corpo che devi vomitare da anni e per anni.

Alla rinfusa

Vorrei qui i miei compagni di liceo perduti per sempre....quelli dei miei figli che fanno lo stesso identico frullo delle rondini che arrivano al nido, mi guardano a volte…ma non mi vedono.
Le ragazze, accidenti, sì le ragazze sembrano cambiate ma a me paiono sempre sottilmente incomprensibili (ma è l’unico modo che conosco per amarle tutte); quella bambina in particolare che è divenuta grande lontana da me per dimostrarmi che tanto sono tutte minchiate l’amore, il sesso ,l’etica, e mentre me lo dice a muso duro piange e mi carezza perché lei mi ama, ma non basta.
Tra una porta e un sospiro, quando sto già pensando di aver visto tutto, di aver tutto chiarito, nella bottega entrano facendo un gran chiasso, la violenza e la febbre delle opinioni: da queste appunto vorrei fuggire ma esse mi inseguono, mi rincorrono dal marzo del 1972, dalla sera in cui lasciai il movimento alla Statale di Milano. E adesso sono qua, tutte, le vecchie e le nuove; quelle che sanno navigare solo sulla carta stampata e le altre nate da madri bioniche coi capezzoli pieni di bites. Io riesco a stare abbastanza male in entrambi casi e, comunque, della loro ignorante durezza ne ho piene le scatole.

Piove

L’avrete detto sicuramente anche voi almeno una volta nella vita o di certo l’avrete pensato: ti amerò per sempre. Pretendete che il fuoco continui a bruciare per tutta la vostra vita, con la medesima intensità anche in assenza di legna.
Io amo per l’eternità tutto quello che non posso avere e resta lì sospeso in un divenire senza tempo.
 Soltanto l’amicizia mi dà il senso vero del duraturo, l’amore è un’altra cosa; alla fine ciò che sopravvive è l’egoismo di cui ci nutriamo ogni giorno e che sopravvive scandalosamente sia all’uno che all’altro.
Nel mentre piove: La prima pioggia dopo non so quanti mesi. Non ci sono stagioni preferite in assoluto, piuttosto mi piace il loro alternarsi, il loro correre e trascorrere le une nelle altre. Come la mia vita e le vostre che sento frusciare dietro il velo degli indirizzi informatici. No non è tristezza, sono solo acquattato sul battito del mio cuore. Più tardi mi innamorerò di un’altra donna fingendo di non riconoscerla poiché è sempre la stessa: le dirò ”sono qui, dai un senso alle cose che vedo, fa uscire la musica dai miei simulacri incantati ad immaginarti. Amami per nulla, per tutto, adesso così senza rendezvous, amami perché hai capito… o fingi, con un sorriso, che io sia ancora il ragazzo dai capelli rossi e gli occhi chiari che avresti potuto amare”
Piove, meravigliosamente piove, l’acqua detta un ritmo diverso al mio tempo, lascia dentro di me pozze piene di riflessi tremolanti: vi sbircio dentro e l’uomo che sono ritorna bambino con contorni imprecisi e molti sogni ancora da afferrare. Prima del grande secco dell’anima. Riapro lo stesso foglio oggi come se fosse il richiamo di una stagione che torna, di una speranza che cresce. Di un sogno che non muore.

domenica 2 febbraio 2014

Punto di svolta stasera

 Painting by Odile de Schwilgué

C’è una porta che sbatte dall’altro corridoio, unico rumore di questo pomeriggio. Se vado di là non sentirò che un filo di vento, se mi allontano TAC! 
Il gatto non mi parla da ieri sera, il mondo non mi parla da un paio di mesi e dire che ho un blog, anzi una casa sull’acqua. Ho anche una vita in sospeso e un gran brutto carattere: un anno fa ero un distinto signore adesso sono diventato un ragazzaccio ma è un trucco virtuale. In effetti non sono né l’uno né l’altro.
Scrivo per capire e sono un egoista, ogni tanto incontro uno scoglio più ruvido di me, altre volte una baia piena di vento e me la giro tutta. Enzo ha molte idee ma non è disponibile a qualsiasi cosa, questa può essere una tragedia se mal gestita e tempo fa la tragedia si è compiuta.
Era un giorno uguale agli altri ma lui aveva aperto un blog ed inseguiva un pensiero, il pensiero di una donna e l’idea di un tempo e un’esistenza diversa. Sapeva che era un pensiero pericoloso ma faceva spesso tuffi nelle acque agitate… non per dire ma aveva il brevetto di apneista di profondità. Dentro, anche stavolta e al diavolo tutto il resto; dinamiche prevedibili… i blogger meno, i contorni addirittura improponibili. Enzo pensava di lasciare il gioco aperto e il blog in genere fuori dalla mischia: Enzo aveva valutato male la situazione e sinceramente non aveva previsto la presenza di assoluti deficienti come contorno. Però doveva capire, capire per esempio che in certi casi, per gli altri, è ammessa ogni cosa, anche la più turpe, capire che una persona può impazzire e perdere completamente la misura o giocare dall’alto di una convinzione assoluta: è mio posso farne ciò che voglio! Il guaio era che anche Enzo aveva un’opinione simile.
Accade quello che era logico aspettarsi e il fuoco divampò, le ceneri stanno lì nei blog passati ma non scomparsi; doveva essere una storia come tante all’insegna della mediocrità umana, si espanse diventando anche il paradigma dei rapporti virtuali e dei loro enormi buchi neri.
Tutto dentro: sesso, equivoci, sintassi, amicizie…identità! Il cielo è grigio stasera, forse pioverà, forse l’acqua si porterà via tutta la terra accumulata dalle nostre impotenze.
E’ stasera che Enzo si prende la testa fra le mani e vorrebbe riprendere a fumare. Stasera che i giochi si sono invertiti e la solitudine si vende a prezzi di realizzo. Lascio il gatto sul divano e il cuore spazzato via dagli anni sbagliati, buona musica sapete, un evergreen di quelli che tutti abbiamo amato. Suonerà ancora a lungo: certe volte la verità è un sorriso quieto che ci ostiniamo a cercare lontano ed invece è lì accanto a noi, è il primo bacio che abbiamo dato quello che non si scorda mai e non ti tradisce come invece ti prendono in giro le parole e i discorsi intelligenti fatti solo per altri fini. Basterebbe dire questo semplicemente, bianco, nero, scala dei grigi o colori squillanti ognuno li vede come sa perché convincervi che siete daltonici? Io ero astigmatico e se ne accorsero a scuola: alla visita in prima media il dottore mi diede un ceffone, io non vedevo niente e lui pensava che lo prendessi in giro. Chiamarono mio padre e lui mi portò da un oculista che non mi prese a sberle solo perché il genitore sborsò un bel po’ di quattrini. Conclusione, occhiali!
Ma ci vedo bene e vi dico che sono meglio di quel che scrivo, le lenti hanno corretto l’asse visivo, la cultura ha sfasciato quello cardiaco. Questo pagine sono il risultato.
Stasera mi chiedo se ho trattato male qualcuno e la risposta è un insieme di voci confuse; ho detto qualcuno, grido, e ne rimane solo una. Allora che vuoi? Le chiedo, non ti bastano i demoni e i loro accoliti scodinzolanti che sbavano ad ogni tua foto? No vero? No evidentemente e così all’infinito in una rincorsa che nasconde il senso della ricerca e dell’insoddisfazione. Ho smesso di fumare 6 anni fa, vorrei evitare di smettere d’amare e di scrivere. Domani pomeriggio parto, domani vado a guardarmi in un altro specchio. Al mio ritorno avrò girato un altro angolo e lo sapremo solo io e lei nonostante il blog o la casa sull’acqua

sabato 1 febbraio 2014

Una linea sottile

Sfoglio con attenzione le pagine di questo blog, ne studio le righe e resto silenzioso ad ascoltare l’eco di parole ormai lontanissime: in fondo non mi dispiace sia così. Ho una lucida coscienza di me stesso, non crediate sia privo di capacità di auto valutazione: un blog gestito dal sottoscritto non poteva essere diverso né poteva aspirare a simpatiche levità sociali. Lo dico senza orgoglio ma con pacata rassegnazione, ho piena coscienza dei miei limiti. Resterebbero tali anche se venissi colonizzato da una febbre nuova e trascinante. Giungere alla conclusione che è impossibile salvarsi, ecco il concetto primordiale che si stampa alla fine della risma di fogli che la mia mente ha prodotto in questi anni. C’è una linea sottile che divide il sogno, l’immaginazione dalla realtà; questa notte silenziosa e tiepida me la fa sembrare nuovamente accessibile. Quella linea l’ho attraversata molte volte nei miei anni, tante da confondere i confini delle diverse percezioni. Ma questa notte davanti allo jonio pieno di sussurri voglio gettare la mia vita oltre il rimbalzo continuo tra ciò che è e ciò che sarebbe stato; una parte di me resterà qui, lo so, a far da specchietto per le allodole…
l’altra voglio dividerla con chiunque passi da queste parti e abbia un sorriso per l’eternità.