A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


sabato 25 gennaio 2014

Rileggere

Sembra che rileggere e correggere ciò che si è scritto sia una nuova scrittura: reimpostare ex novo questo blog mi ha fatto agitare tutti i neuroni, analizzare tutte le rughe del mio viso, cadere le residue inibizioni che possedevo.
In realtà ho sempre vissuto male lo sdoppiamento mentale tra le mie due anime (e non mi venite a dire che si capisce che sono dei Gemelli): quella lirica, lontana dal mondo in cui sono nato, balcone privilegiato su quell’altra in cui, invece, mi agito e mi adiro, fatta di uomini e donne, di azioni e di strade che passano sotto i balconi delle idee e se ne fregano di sporcarsi e mischiarsi pur di riuscire a diventare vita.

mercoledì 22 gennaio 2014

Mi allontano

Più vi leggo più vi amo e mi allontano da voi: non per un malinteso senso di inconfessabile superiorità ma per una manifesta inadeguatezza di vivere tutte assieme le contraddizioni che in questi anni mi avete rovesciato addosso col mio goloso assenso. Non riesco a capire come fate a scrivere così tanto, così spesso e con tanta fiducia in voi stessi; a me la nausea arriva a ondate e, in alcuni periodi, questo blog rimane solo un riflettersi nello specchio di cento soliloqui. Quando scrivevo su carta non accadeva, il rapporto col foglio e la penna era più carnale e forse più misurato: che mi sono stancato di me stesso lo avrei detto con più garbo. Ma probabilmente la spiegazione, come spesso accade, è semplice: molti di voi sono certi, convinti, eroicamente sicuri di stare dalla parte del giusto, è una base di partenza invidiabile quasi quanto i 30 anni circa in media che ci separano anagraficamente. Solo questo però, poiché intellettualmente io sono molto più immaturo: basti vedere l’andamento di queste righe da soggetto con i nervi a pezzi. E non sapete cosa vi aspetta in futuro.

sabato 18 gennaio 2014

La ragazza del bar

Non aver più nulla da fare, questa è la sensazione che da qualche giorno mi trascino dietro: guardo queste pagine e non ci scrivo sopra.
Guardo anche l’umanità che mi scorre accanto e non le dico niente.
Stamattina pensavo di essere niente.
Anche ieri sera mentre facevo l’amore con la ragazza del bar pensavo la stessa cosa. Mi sono sorpreso nel vedere il mio sperma fuoriuscire da me e colare sul petto lucido di sudore della donna: una chiazza bianca fra due seni rotondi e perfetti.
Niente, secco come un ramo centenario.
- Era questo che volevi? L’ho solo guardata.
- Avevi un desiderio che ti scoppiava dagli occhi, sono venuta qua per questo.
- Sei venuta perchè ti eccitavo, il resto è resto, a perdere
- Stronzo! Sei solo uno stronzo. Mi tratti come una puttana- e ti alzi come per rivestirti.
 - Non sei capace di silenzio. Hai paura del silenzio? Ripetimi il tuo nome e dimmi di nuovo che non sei una puttana ma vorresti diventarlo.
Ti sei fermata a guardarmi, finalmente hai uno sguardo tranquillo: ti giri e ti pieghi verso il mio sesso e lo prendi in bocca. Adesso sì che ti sento, adesso sì che mi vuoi, adesso le parole cambiano significato e possono mettersi di fianco a guardare il bisogno di assoluto che ferma il tempo. Di notte, mentre ti riaccompagno a casa , mi parli a lungo di te, del lavoro che fai, dell’altro, dei mille motivi che formano la tua musica. Non ricorderò altro Elisabetta ma scriverò di noi sul blog e sarà come se uscissi nudo di casa.

mercoledì 15 gennaio 2014

Qui e in luoghi simili FT

Il condizionamento operato da esigenze di ambiente lavorativo, familiare o altro funziona come un freno inibitorio: è un gioco delle parti pirandelliano, non puoi uscirne se non trovi un’altra parte con nuovi stimoli e nuovi obiettivi da perseguire. Quello che è stato prima ci lega, ci rende goffi e, soprattutto, è risaputo: molti di noi vogliono altro da se stessi, cose che giacciono nascoste dentro da sempre e che un blog può mettere in vetrina. Io non ci trovo nulla di male in tutto ciò. Il pericolo vero è la metamorfosi, l’ipertrofia incontrollabile delle nostre facce che ci impedirebbe poi di riunificarle in quello che siamo come unità: perché siamo UNI e lo sappiamo appena spegniamo il computer. Di metamorfosi si può morire o ferire gli altri, si può mentire e credere veramente di farla sempre franca perché non siamo noi a commettere il crimine ma la parte diversa di noi, magari appena creata. Eppure nemmeno la splendida letteratura dei mille cambiamenti umani ci affranca dalle stimmate che ci rendono riconoscibili: non è un neo, l’angolo della bocca, il suono della voce o il modo di camminare, qui sui blog è la SINTASSI e non potrebbe essere altro. Credo lo sia certamente per me, è lei che ci raccoglie, perle distanti, su unica collana: il gioco inizia da lì

sabato 11 gennaio 2014

FABER

Dimentichiamo come terapia contro l’invecchiamento precoce: anche i più grandi, quelli che furono miti inarrivabili dei nostri anni migliori li releghiamo anno dopo anno sempre più in fondo.
 L’11 gennaio di quattordici anni fa se ne andava il più grande di tutti. Un artista la cui versalità poetica prima e musicale poi non ha eguali in Italia e forse nel mondo: Fabrizio fu il prodotto di una generazione e di una cultura accesa ma riflessiva sul mondo che scorreva davanti, ma da lì in poi ci fu solo arte e genio allo stato puro. Non voglio trovare aggettivi e le mie lodi, confuse in mezzo a quelle interminabili di chi lo ama ( e sono una quantità) servono solo a coprire il rammarico per la sua assenza fisica tra noi. “Non mi sono mai sentito tanto definito nel tempo” pensavo mentre camminavo tra le stanze in penombra della mostra “ Fabrizio De Andrè”; è un modo come un altro per dichiararsi vecchio.
Poi, riflettendoci, mi sono dato un’altra chance, più che altro un’altra prospettiva per guardare la mia vita attraverso l’esperienza generazionale: non mi sono mai sentito tanto orgoglioso e soddisfatto. Ma c’era buio e non se n’è accorto nessuno. Mi chiedevo chissà se un simile omaggio verrà proposto ad altri come lui, ma lui è di un altro pianeta mi sono detto. In un contesto di alta levatura artistica lui è ancora più su, è un artista unico. Quante volte in ambiti disparati ne abbiamo convenuto tutti: la cifra letteraria, culturale e musicale della sua opera è talmente elevata da spandere la sua luce su ogni mente che ascolti anche per poco le sue canzoni. Mi sono tornati alla mente gli ellepi e il banco di regia dell’emittente radio da cui trasmettevo: ricordo perfettamente l’eccitazione del nuovo, il primo ascolto del volume 8° di Fabrizio de Andrè. Ci si guardava in faccia e si diceva “ Perfetto! Che meraviglia.” Poi si continuava a parlarne per giorni e si capiva, si sentiva che quella era la musica, erano le parole della nostra generazione, che non poteva esserci modo più completo e diretto per raccontare i nostri giorni, il senso del reale e il metafisico, il buffo e l’amaro…l’amore fissato ed eterno in una dimensione che adesso, ancora adesso, stasera mi sembra consolante ed unica.
Ma ora non ci sono più i compagni di quel tempo, gli amici coi quali strabiliarsi di sconfitte e sogni e canzoni: c’è questo blog e quest’uomo di quasi sessantanni che rincorre i tasti e la sua vita appresso ad essi, ci sono altri amici cui stringere in modo diverso la mano.

giovedì 9 gennaio 2014

Damasco

Tramortito sulla via di Damasco ho seguito per molte settimane gli aquiloni del mio pensiero: colorati e bellissimi mi hanno ingannato sui molti aspetti della mia personalità, poi si sono sostituiti ad essa e mi hanno regalato l’assenza. Un blog può essere molte cose, mi domando quante riesca a contenerne.
Siamo già un po’ più in là o sono io ad avere le allucinazioni. Ho voglia di ripercorrere le strade che sembrano le solite , di sentire scorrere via le vostre parole.
Quando l’assenza si ripresenterà sarò più pronto, o la fine o la guarigione. 
Mi sembra evidente: non cerco contatti a qualunque costo, sono selettivo in modo esagerato, collerico, snob e fondamentalmente quindi UN SOLITARIO. L’ho detto in questi anni centinaia di volte, l’audience mi solletica ma non mi possiede, è un obiettivo che importa solo a coloro che usano il web come passerelle per secondi o terzi o quarti fini. Lo so, lo so bene, vi sento mentre dite con fastidio ma chi diavolo vuole ascoltarti vecchio rimbambito! Vuoi star solo? Crepaci in solitudine!
BENISSIMO, PER ME VA BENISSIMO. In questa casa entra e colloquia solo chi ritengo per civiltà (prima) e per cultura ( dopo) degno di entrare, sedersi e parlare. SONO POCHISSIMI E se fossero ancora meno? Se non ce ne fosse uno? PECCATO, SCRIVEREI LO STESSO PER UN CERTO TEMPO E DOPO…..DOPO SI VEDREBBE.
 Non ero partito così. Mi piaceva lo scambio, il mezzo, la gente, veder fluire le idee, conoscere anime. Mi piaceva ma non sono cieco o sordo e non ho mandato il cervello in ferie. Mi sono reso conto a poco a poco che questa dimensione virtuale era il succedaneo di quella reale, peggiorata da molti fattori. Ho cominciato a dirlo, a scriverlo….senza peli sulla lingua perchè non ne ho e molti in rete invece li hanno, e sono peli lunghi.

domenica 5 gennaio 2014

Rabbia

Qui o altrove trascino sempre la mia insoddisfazione: non amo la rabbia ma faccio rabbia. Talvolta mi stanco ma non mi sono mai arreso, nemmeno alla sorpresa di ciò che provoco.
Ho attraversato molti mari, reali o presunti: bagni indimenticabili e traversate tempestose; non l’ho deciso io, ho solo fatto da testimone ad epiloghi straordinari, cocci di esplosioni più o meno previste, qualche residuo è rimasto a galleggiare qua e là. Se ci penso vorrei un giorno o l’altro passare a raccoglierli tutti e dare loro il riposo o la vita che meritano.
A furia di scoparmi l’esistenza mi sono immamorato di lei, innamorato sì, senza speranze e senza illusioni. Scrivere mi fa rabbia, pensare pure, amare è inutile, curvarsi sulle linee di una donna essenziale, farsi alitare sulla bocca il suo cervello esaltante…mi sono dovuto legare alla barca per non farmi uccidere dalle sirene anche se, in fondo, potrebbe essere la morte migliore. Questo non è un libro chiuso, la pagina che stai leggendo è aperta, non si chiude mai nulla se resta l’eco dei tuoi orgasmi: c’è solo un tempo diverso e, talvolta, una spinta leggera come una carezza a farti scrivere di nuovo.

giovedì 2 gennaio 2014

Ciao

Ciao diario virtuale, da qualche giorno ho pubblicato i miei pensieri in altro modo: con l’intenzione, il desiderio ma senza segni scritti. Le strade sono tante, troppe, la pietanza giusta non si trova, che poi non c’è, non c’è mai, esiste solo la fame e tu diario lo sai.
Ho letto molte cose in giro e la gran parte erano surrogati: chi scriveva imbrogliava e chi leggeva sapeva di essere imbrogliato e continuava per via dello share, l’audience, il pubblico, la gente. NOI. Stavolta ti scrivo per me, solo per me, ti scrivo per dirti che devi farmi innamorare di nuovo. Che non ne posso più di inutili desideri e altrettanto inutili coiti. Fammi inamorare, una sberla in pieno viso che poi stai lì mezzora a pensarci e a chiederti perchè, come?
Annego mentre nuoto verso questo orizzonte sempre uguale: vorrei dire che sono stanco ma non è vero, sono confuso. E continuo a nuotare, annegare è una variante, un diversivo utile a sentire l’acqua. Ciao diario virtuale sono stato pieno di addii, adesso basta.