A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


sabato 11 gennaio 2014

FABER

Dimentichiamo come terapia contro l’invecchiamento precoce: anche i più grandi, quelli che furono miti inarrivabili dei nostri anni migliori li releghiamo anno dopo anno sempre più in fondo.
 L’11 gennaio di quattordici anni fa se ne andava il più grande di tutti. Un artista la cui versalità poetica prima e musicale poi non ha eguali in Italia e forse nel mondo: Fabrizio fu il prodotto di una generazione e di una cultura accesa ma riflessiva sul mondo che scorreva davanti, ma da lì in poi ci fu solo arte e genio allo stato puro. Non voglio trovare aggettivi e le mie lodi, confuse in mezzo a quelle interminabili di chi lo ama ( e sono una quantità) servono solo a coprire il rammarico per la sua assenza fisica tra noi. “Non mi sono mai sentito tanto definito nel tempo” pensavo mentre camminavo tra le stanze in penombra della mostra “ Fabrizio De Andrè”; è un modo come un altro per dichiararsi vecchio.
Poi, riflettendoci, mi sono dato un’altra chance, più che altro un’altra prospettiva per guardare la mia vita attraverso l’esperienza generazionale: non mi sono mai sentito tanto orgoglioso e soddisfatto. Ma c’era buio e non se n’è accorto nessuno. Mi chiedevo chissà se un simile omaggio verrà proposto ad altri come lui, ma lui è di un altro pianeta mi sono detto. In un contesto di alta levatura artistica lui è ancora più su, è un artista unico. Quante volte in ambiti disparati ne abbiamo convenuto tutti: la cifra letteraria, culturale e musicale della sua opera è talmente elevata da spandere la sua luce su ogni mente che ascolti anche per poco le sue canzoni. Mi sono tornati alla mente gli ellepi e il banco di regia dell’emittente radio da cui trasmettevo: ricordo perfettamente l’eccitazione del nuovo, il primo ascolto del volume 8° di Fabrizio de Andrè. Ci si guardava in faccia e si diceva “ Perfetto! Che meraviglia.” Poi si continuava a parlarne per giorni e si capiva, si sentiva che quella era la musica, erano le parole della nostra generazione, che non poteva esserci modo più completo e diretto per raccontare i nostri giorni, il senso del reale e il metafisico, il buffo e l’amaro…l’amore fissato ed eterno in una dimensione che adesso, ancora adesso, stasera mi sembra consolante ed unica.
Ma ora non ci sono più i compagni di quel tempo, gli amici coi quali strabiliarsi di sconfitte e sogni e canzoni: c’è questo blog e quest’uomo di quasi sessantanni che rincorre i tasti e la sua vita appresso ad essi, ci sono altri amici cui stringere in modo diverso la mano.

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Ciao Gina mia