A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


lunedì 5 agosto 2013

Corso dei Mille

Dovrei spiegare una cosa solo apparentemente contraddittoria, un fatto che riflette la complessità del mio modo e la difficoltà di gestirlo secondo i luoghi comuni. Dalle mie parti a volte nevica, più spesso c’è un sole che spacca il cervello. Dalle mie parti chiunque è arrivato sempre via mare: anche oggi è così e capisco che per la gente di pianura può essere difficile entrare in quest’ordine di idee.
Ho scritto dopo aver camminato nell’ultima porzione di Corso dei Mille a Palermo; ho scritto dopo aver attraversato per intero l’isola in cui sono nato. Volevo che questo scritto fosse diverso ma mi sono incantato davanti a un carretto pieno di frutta e verdura…era uguale ad uno che vedevo da bambino nel paese di mia madre. Ho chiesto al vecchio che fumava quanto costavano le pesche e glielo detto in italiano: mi sono sorpreso quando mi ha risposto. Da qui, da questi stessi luoghi, sono discesi i volontari di Giuseppe Garibaldi.
Più penso alla spedizione dei mille, più ne leggo, più ogni cosa mi appare inverosimile; potrei invocare il destino che tutto ordina e dirige, anche a nostra insaputa, ma sinceramente non mi basta. Al fondo di ogni cosa mi resta in bocca il sapore di uno scherzo che coi giorni è diventato storia concreta, di una goliardata romantica che alla fine devo guardare col rispetto del sangue sparso per un ideale che ancora, dopo 150 anni, chiede un riconoscimento che forse non arriverà mai. Dei Mille non c’è più traccia alcuna, solo un nome su un angolo di strada polverosa e vociante; eppure essi erano qui, vicino al ponte dell’ammiraglio partirono le prime schioppettate e caddero i primi morti. Questo straccio di nazione che ci è restato fra le mani, quella dei girotondi in piazza, di Berlusconi, di Umberto Bossi e del governo tecnico del sen. Monti, quella è nata qui, è nata sulle strade di quest’isola e ha iniziato a camminare il 5 maggio del 1860 sulla costa di Marsala che è molto più vicina a Tunisi che a Torino. A leggere di quei giorni sembra tutto naturale: lo scoglio di Quarto, i volontari, le idee e le giubbe rosse…c’erano uomini che in Sicilia ci volevano scendere, erano convinti che la spedizione si poteva e si doveva fare, che fosse un’occasione unica per dare alla storia una sterzata decisiva. Io adesso sento solo il silenzio della polvere che devasta l’ossario di Pianto Romano a Calatafimi e vedo lo squallore di una bandiera tricolore lasciata a seccare al sole d’estate.
Sono siciliano ma gli uomini di questo governo mi hanno offeso e, con me, hanno ingiuriato tutti quelli che hanno provato a fare gli italiani dopo aver fatto l’Italia come disse Massimo D’azeglio. Ho negato per quarant’anni che la frase di un illustre meridionale avesse un qualche significato storico o sociale: “ Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri…” Lo scrisse De Roberto nel romanzo i Vicerè, mettendola in bocca a un notabile siciliano nel periodo che immediatamente seguì all’annessione al Piemonte. Quella frase rimbomba feroce dentro di me, rimbalza sul mio sentirmi cittadino italiano, scivola sulla mia cultura e contraddice i miei ideali in qualcosa di più grande di una città o di una regione.
Sta scendendo la sera, c’è odore di spezie e il cielo della mia città fra poco avrà quel colore impossibile blu che definisce e piega all’immaginazione anche i sogni più ribelli. Io sono siciliano…ho trascorso tutta la mia vita sperando di non essere solo quello ma è inutile, Corso dei Mille è solo il viatico di un’ emozione essiccata, perché la storia è passata da qui ma se n’è andata da molto tempo.

Nessun commento:

Posta un commento

Ciao Gina mia