A GINA, quello che ogni donna dovrebbe essere per un uomo, il suo alter ego


venerdì 20 settembre 2013

SOTTO I CAPELLI


Più in la non riesco ad andare e comunque non ho nessuna memoria Dei giorni prima del 15 ottobre 1960 non possiedo che ricordi sfilacciati, vaghezze con alcuni lampi fortissimi in mezzo ad una nebbia senza confini. Il fortissimo trauma cranico di quel pomeriggio lontano giocando con i ragazzini in un oratorio del centro, si è portato via tutto o quasi. La mia vita ricomincia il giorno dopo in una corsia d’ospedale: apro gli occhi e sento di avere la testa fasciata e di percepire un ronzio diffuso, il viso di mio padre e mia madre è la terra promessa. Prima viveva un altro Enzo ma se n’è andato giocando in un cortile di Milano: Di quel bambino mi son rimaste alcune cose isolate: la gioia per alcuni palloncini in via Dante a Milano il colore del vecchio mobile nella casa della nonna nell’antico paese siciliano, l’odore penetrante di stallatico del carretto su cui in estate attraversai la Val di Mazara… Il senso di mare una mattina quando scoprii le orme dei gabbiani sulla spiaggia e il sole era già alto. Il rumore del vento dolce dall’Africa fra le colonne doriche.
Quell’Enzo non ha altra memoria di sé. Questo post c’è anche perché quel pomeriggio d’ottobre Don Filippo si caricò sulle braccia un bambino con la testa piena di sangue, lo caricò sopra una seicento e lo portò in ospedale in tempo. Mamma dice però che la notte prima il Signore si spaventò perché mio padre gli disse che poi doveva vedersela con lui se io me ne andavo; sorrido ancora oggi quando ci penso e mi carezzo con la mano la cicatrice che sento, nodosa come una radice, sotto i capelli.

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Ciao Gina mia